Minimo di mezzi – "La distanza tra parola e immagine è affrontata da una intellelligenza sola – scrive Martina Corgnati – e soltanto da due mani, che finiscono però per seguire percorsi divergenti e niente affatto paralleli nella ricerca poetica e in quella grafica". E' la critica d'arte a segnare con il suo intervento la cifra specifica del volume, recentemente presentato a Busto Arsizio, Nel cuore le stanze – poesie e disegni, di Antonio Maria Pecchini, nelle eleganti edizioni della Nomos.
Un artista, scrive ancora Corgnati, per l'occasione "alle prese con il suo minimo di esistenza e minimo di mezzi; una posizione che non sembra improrio definire classica, (…) perché c'è sempre stato un artista alle prese con mezzi espressivi straordinariamente ridotti attraverso cui far scaturire universi di senso e di linguaggi straordinariamente ampi".
Fogli onirici – Un Pecchini, sembrerebbe, inedito. Abituati come siamo a vederlo scandire lo spazio con installazioni attente, meticolose, gravide di una sorta di ridefinizione degli ambienti, cariche di una sottile ma chiara contaminazione dei materiali; spesso sfuocate nel loro diretto significarsi, per essere allusive, alchemiche, o in altri casi fin troppe, dichiarative. Sul foglio che accompagna, ma non didascalizza la sua opera poetica, l'artista di Busto sceglie invece di non mischiare le cose e prendersi direttamente la responsabilità della tecnica mininale, del disegno a matita su foglio bianco, che si presta ad interventi lievi, quasi onirici, preziosi.
La misura dell'haiku – Un libro a lungo meditato e frutto di lunghe riflessioni; il corpus grafico risale al 1990; le liriche, affogate in un non troppo implicito lago di eros, addirittura vengono stese nel 1988, scaturite come da una vertigine di emozioni, distillate durante un viaggio nel deserto. Vent'anni, ma l'importanza della dichiarazione intima, della rivelazione di sé, non subisce diminuzioni di intensità per la distanza intercorsa.
Resta intatta l'urgenza della parola e la corrisposta urgenza del foglio che si sofferma, sul limitare di una discrezione non didascalica, al colloquio dei corpi allusivo, al carezzole languore dei profili, al gioco infinito del desiderio. In entrambi i casi, torna a rilevare Corgnati, con "quella misura minima, da 'haiku' che le accomuna"