Fichi e champagne – Grandi mostre nell'anno del mondiale. Fa dibattito, l'argomento. Anche se dovrebbe smuovere intelligenze, idee, azioni politiche non solo nell'anno del ciclismo varesino. Il sindaco Fontana continua a crederci, ma, passano i giorni, non ha altre risposte se non quelle note e ribadite a ogni domanda, a ogni telefonata. Le nozze non si fanno con i fichi secchi è il suo leit motiv, da tempo, troppo tempo. Eppure altri ambiti culturali della città non brindano a champagne, ma i risultati sono diversi. La macchina della cultura a Varese si regge su un motore che gira a diversi regimi: romba quello dello stagioni musicali, suona andante quello della stagione teatrale, sbuffa arrancando quello delle politiche museali e dell'organizzazione di eventi espositivi.
Alcune cifre – Per il teatro, il settore della cultura che va ormai in automatico, l'amministrazione spende mediamente 300 mila euro all'anno per l'affitto delle strutture: la mente operativa è in via Sacco, nella palazzina della cultura, che definisce strategie dei prezzi e scelte artistiche. Il peso dell'organizzazione viene però demandato in base ad accordi stipulati anni fa con il Teatro Apollonio. Quanto alla stagione musicale, ritenuta dagli addetti tra le più pregiate offerte di musica da camera, viaggia con una spesa da parte del Comune di circa 170 mila euro, con entrate in crescendo.
Poco più di 100 mila euro in cassa per i musei varesini. Una cifra di poco superiore a quella a disposizione del Comune per il 2006. Nel dpeg dello scorso anno veniva indicato una cifra vicina ai 150mila euro, destinati a crescere nel 2008 e nel 2009. Le cifre sono quelle. E davvero sembrerebbero non poter lasciar spazio a voli pindarici.
Le certezze – Questi, molto in sintesi, i numeri. Che non dicono tutto. Non dicono i meccanismi che sono sottesi: la stagione teatrale, gestita da Andrea Campane e dallo staff dell'ufficio cultura, non ha risentito della inevitabile concorrenza-contiguità della programmazione privata dell'Apollonio: pur avendo visto nella stagione scorsa un calo di abbonati, ha visto crescere il numero dei biglietti singoli venduti. La stagione musicale, curata da Fabio Sartorelli, per quanto penalizzata dagli spazi, esprime valore su tutto il territorio nazionale. Entrambe godono tuttavia di stabilità, continuità, credibilità. Condizioni necessarie per operare.
La credibilità perduta – Condizioni che mancano, ma non è questioni di oggi, all'intera macchina museale. La stabilità è stata minata negli anni da una girandola di direttori e dirigenti e da un deficit di cultura professionale; la continuità si è persa nei contorni sfuocati di una vocazione che ancora non si decide ad essere esattamente. La credibilità ne è rattrappita di conseguenza, prova ne sia lo scarso appeal verso l'investitore privato ma anche verso il pubblico, davvero con numeri che non portano vanto.
La cupola – Parlare sempre e solo di grandi mostre, è suggestivo, utile, ma anche fuorviante. Così come parlare di perifericità espositiva di Varese, quando sono i suoi musei ad essere periferici alla città stessa. Senza nessuna vera centralità: progettuale ed emotiva nella coscienza dei suoi abitanti. Si scontano errori del passato senza riuscire a trovare il bandolo della matassa.
Per questo destano stupore le stesse notizie pubblicate dal quotidiano "La Provincia". Che riferiscono di progetti maturati in gran segreto in questi mesi tra l'amministrazione e il consulente per il Ministero dei Beni Culturali Mario Del Bello. Sul tavolo progetti espositivi, tra cui i disegni inediti di Michelangelo, una avveniristica cupola trasparente da porre in piazza Monte Grappa, inserti interattivi al Castello di Masnago; e soprattutto un progetto per fare di Villa Mylius una Fondazione che sia sede di tutte le fondazioni d'arte nazionali. Fontana, lasciando intendere che altre partite sono aperte su altri fronti, conferma che per certo sono cose meravigliose ma, di nuovo, non accessibili. Né la Regione nè, a quanto pare Roma, hanno risposto all'appello per finanziare i progetti.
La normalità – Ci si potrebbe chiedere con un certo sgomento perché istituzioni e privati, anche a fronte di piani di questa portata, non supportino la città. Quale pena Varese debba scontare per non trovare il supporto economico necessario per un suo rilancio.
Ma ci si potrebbe anche chiedere per quale motivo altre fondazioni artistiche dovrebbero scalpitare per trovare un centro comune proprio a Varese. Ci si dovrebbe chiedere, paradossalmente, che farsene della pittura russa dell'Ottocento, dei disegni di Michelangelo, se non suonasse come una bestemmia, di ogni singolo nome eclatante. Anche Gallarate ha avvertito la necessità di ancorarsi a qualcosa di legato al proprio tessuto per inaugurare la nuova Gam, lasciando perdere il nome ad effetto. Qui c'è ancora da studiare l'abc, da avvistare una cultura progettuale che sia amministrativa, pubblica e privata insieme e che a Varese ha sempre vissuto di estemporaneità, più privata che pubblica; c'è bisogno di qualcosa che superi la retorica dell'evento e che piuttosto prenda corpo nelle pieghe di una normalità culturale che ancora non c'è.