L’ultimo racconto della serie dedicata al Guatemala narra un episodio accaduto sulle rive del lago Atitlan, considerato universalmente uno dei laghi più belli del mondo (accanto al nostro Lago di Como…). Il titolo del racconto è “Metamorphosis”

L’Altare dell’Iglesia Parroquial de Santiago Apostol, sul lago Atitlan, in Guatemala, è senza dubbio un’opera sorprendente. Pur essendo una cattedrale dedicata al culto cattolico,  appare straripante di simbologie maya: il Granoturco da cui, secondo queste credenze fu forgiata l’umanità intera, il quetzal, uccello simbolo del Paese, il leone, il cavallo… Gli spiriti-guardiani presenti nell’affollato pantheon Maya diventano statue decorative dei Santi, vestite di abiti tradizionali fatti a mano dalle donne del posto che vengono sostituiti ogni anno. E’ persino raffigurato, sulla pala centrale dell’abside, il Paradiso secondo le credenze del luogo, con tre vulcani sullo sfondo, proprio come il paesaggio di questo sperduto altopiano.

Sincretismo religioso: conciliare elementi sacri eterogenei, a volte diametralmente opposti. Dopo l’arrivo dei conquistadores spagnoli, la religione cattolica ha cercato di assorbire le tradizioni precedenti, finendo spesso per inglobare le diverse credenze in un melting-pot davvero sconcertante. I membri delle Confraternite cattoliche si fecero così custodi e garanti dei riti più ancestrali.

Le tre pale dell’altare del 1582 furono magistralmente restaurate nel 1976 dai fratelli Diego e Nicolàs Chavez. Incontro Juan, il figlio di Diego, anch’egli scultore, che mi mostra con fierezza i suoi ultimi lavori. Osservo queste opere per più di un quarto d’ora: mi accorgo in questo momento che non esiste un tempo di fruizione codificato per l’arte visiva, mentre per la musica, ad esempio, il tempo è prestabilito dall’autore del brano stesso. Per il quadro o la scultura no… è incredibile: puoi osservare un’opera per un istante infinito e lei continua a parlarti. Sono statue di nudi, intagliate nel legno nodoso di queste foreste inestricabili. Immagini raffinate, eleganti, che partendo dalle mani, paiono tramutarsi esse stesse in alberi: le dita sono già foglie, le braccia si protendono per diventare ricurvi rami, i piedi saranno presto radici. Ovviamente faccio alcune domande, ma lo scultore fa cenno di no, allargando le mani “no lo sé!” Delle metamorfosi di Ovidio e di un certo Gian Lorenzo Bernini  Lui, non ha mai sentito parlare.

Santiago Atitlan, Guatemala, 30 dicembre 2013

Il riferimento del racconto è al gruppo scultoreo Apollo e Daphne (1622-1625), conservato presso la Galleria Borghese a Roma. Il soggetto della scultura è tratto dalle Metamorfosi di Ovidio, testo diffusissimo nel XVI secolo e fonte d’ispirazione per artisti e poeti. Nell’episodio narrato, Apollo si vanta di saper usare come nessun altro l’arco e le frecce, meritandosi così la punizione di Cupido, che lo colpisce con uno dei suoi dardi facendolo innamorare della bella ninfa Dafne, la quale però aveva consacrato la sua vita ad Artemide ed alla caccia. L’amore di Apollo è irrefrenabile, perciò Dafne chiede aiuto al padre Penéo, dio dei boschi, il quale per impedire ai due di congiungersi, trasforma la fanciulla in un albero di Alloro, che da quel momento diventerà la pianta sacra per Apollo. Questo è l’episodio che Bernini rappresenta fedelmente, proprio nel momento della trasformazione della ninfa in un albero. Rincorsa da Apollo, Dafne si protende in avanti: la sua metamorfosi si compie ed è ben visibile nelle mani che prendono la forma di rami e di foglie, mentre i capelli e le gambe si trasformano in tronco e i piedi in radici. L’autore guatemalteco ha prodotto statue del tutto simili a quelle europee pur non conoscendo affatto il mito della cultura greca a cui fanno riferimento. Probabilmente nella loro tradizione ci sarà stata una leggenda simile ma questo sta ai prossimi viaggiatori scoprirlo.

 

Ivo Stelluti,

Il Viaggiator Curioso