L’esposizione di un uomo che lega i due poli opposti di un paese. Da domenica 19 maggio 2019, ai Musei Civici di Villa Mirabello, sarà possibile ammirare la mostra “Renato Guttuso a Varese”, curata da Serena Contini con la collaborazione di Fabio Carapezza Guttuso.
Abbiamo chiesto ad un suo conterraneo, Paolo Giansiracusa – storico dell’arte di fama internazionale, accademico e docente universitario – di raccontare l’artista, la sua vicenda e il suo rapporto con Varese.
Qual è la peculiarità artistica di Guttuso?
«Renato Guttuso è il pittore espressionista italiano per antonomasia. La caratteristica della sua pittura è il contrasto dei colori; essi sono utilizzati con la massima saturazione cromatica e accostati in maniera eccessiva, quasi come a provocare delle lesioni sulla tela e quindi, delle vibrazioni, delle sensazioni forti in chi guarda».
Guttuso ha influenze futuriste, impressioniste e surrealiste. La definizione di realista non è alquanto riduttiva?
«La pittura di Renato Guttuso ha forti legami con il mondo cubista. La storia dell’arte italiana, quella del secondo Novecento è ancora tutta da scrivere. Sicuramente, nel momento in cui si metterà mano all’elaborazione si dovrà tenere conto del grande rapporto tra Guttuso, Picasso e il mondo parigino della seconda guerra mondiale. Picasso porta in Italia la distruzione dell’immagine e la riconfigurazione in chiave astratta di quello che è il mondo pittorico di quel tempo. Quello che noi vediamo in Guttuso è solo apparentemente figurativo, ma c’è dentro un mondo astratto fatto di introspezione, di analisi interiore, di scavo all’interno dell’anima».
Guttuso quanto amava la Sicilia?
«Renato Guttuso amava perdutamente la Sicilia. La Sicilia era il suo mondo, il suo continente, era il luogo in cui ritrovava ogni cosa: affetti, amori, colori, solarità, mediterraneo, passioni, società, amici; ogni cosa. La Sicilia, per lui, era il crogiuolo di tutto».
Quanta sicilianità c’è nella sua arte?
«Se c’è un pittore che ha descritto e che ha raccontato la Sicilia, attraverso le emozioni pittoriche, è proprio Renato Guttuso. Come si evince dalle opere che sono esposte a Bagheria, in un museo appositamente voluto e creato da lui. Ecco, le opere che si trovano in Sicilia esprimono chiaramente quello che è il suo legame con la nostra terra, con la nostra isola. Renato Guttuso esprime la Sicilia in ogni pennellata: pennellate cariche di luce, pennellate che esprimono la solarità piena; sono la Sicilia. Una pittura di contrasti: che sono appunto nella società siciliana, fatta di amori profondi, di grandi passioni ma anche di tragedie, di grande dolore».
Perché si è innamorato della città di Varese tanto da stabilirvisi?
«Varese è il luogo dell’eremitaggio, è il rifugio degli ultimi anni. È il luogo in cui lui ha riflettuto, meditato sulla vita trascorsa. Varese era un luogo di pace per lui. L’ambiente romano era troppo caotico, troppe cose erano accadute a Roma e troppo forti erano i legami con la politica. La Sicilia era invece il luogo dei grandi ricordi, il luogo della memoria, il luogo della famiglia, degli amori giovanili, delle sofferenze giovanili. E invece Varese è la sposa nuova, è la giovane vergine con cui ha concluso la sua esistenza. Luogo di pace, d’amore, di passione nuova. A Varese, Guttuso ritorna ad essere ragazzo, fanciullo. Lascia quelle che sono le scorie della vita trascorsa e ritorna a rifiorire. Questa è per lui Varese».
È un artista da riscoprire?
«Sì, c’è stato un momento in cui la critica ha abbandonato la vicenda guttusiana; probabilmente, molti artisti che lo hanno imitato e che lo hanno copiato hanno fatto di tutto perché si cancellasse l’origine, l’archetipo, della loro ispirazione artistica; ma gli storici dell’arte, lo sappiamo bene…La pennellata veloce, la pennellata tagliente di Guttuso, ha insegnato a molti. Molti hanno dei debiti con lui: debiti creativi, debiti legati alla fantasia artistica. Guttuso è tutto da riscoprire, è tutto da rispolverare e in particolare adesso, in questo scorcio di terzo millennio in cui la socialità è stata calpestata, il suo messaggio d’amore sociale ha un orizzonte di grande attualità».
Daniela Gulino