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Libero battitore – L'autore si schermisce subito e lo fa più volte: "Non sono uno storico dell'arte". Nella stringata biografia di Paolo Parlavecchia, si legge l"laureato in filosofia della scienza" una lunga attività nell'editoria, attualemente docente di  progettazione editoriale al Politecnico di Milano. "Mi sono occupato di lingue, filosofia, insegnamento a distanza, anche di arte certo, ma non ho mai voluto rientrare in 'gruppi organizzati" di specifiche discipline".  Sorge allora subito l'interrogativo: sulla base di questi antefatti, non lineari, cosa ha portato questo colto e intellettualmente onnivoro, signore di sessant'anni a dedicarsi ad uno dei maggiori artisti del secolo scorso, confenzionandone la prima biografia in assoluto, Renato Guttuso. Un ritratto del XX secolo, uscito da poche settimane per i tipi di Utet. La domanda non rimane inevasa .

Perchè proprio Guttuso? Che legame c'e e c'era tra lei e l'artista, sfociato in trecento pagine dense di notizie e di note che ricostruiscono  l'intero percorso esistenziale del pittore di Bagheria?
"Ci tengo a precisare che il mio volume non è propriamente da ascrivere al genere letterario del libro d'arte, piuttosto ad un libro di storia, in piccolo sul modello del grande storico inglese Lytton Strachey che descrisse l'epoca vittoriana attraverso biografie di eminenti personaggi. L'intento è quello di raccontare il secolo scorso attraverso una figura che è stata artistica ma anche politica, un viaggiatore, un 'ambasciatore', comunque al centro della vita culturale italiana".

Di nuovo, perché proprio Guttuso e non altri intellettuali?
"Intanto perché mi sono reso conto che non esisteva, sembra incredibile, una sua biografia completa. Esistono  tentativi di biografia, come i suoi dialoghi con il critico Costantini, un'enorme mole di notizie sulla sua vita sparsi su libri, giornali e riviste, ma niente di organico. E poi perché il mio rapporto con Guttuso è un rapporto generazionale di chi ha vissuto, nell'età della crescita, i fatti politici e militari che hanno traumatizzato anche gli stessi iscritti al Pci come Guttuso. La sua coerenza ideologica la trovavo allora criticabile così come la sua battaglia per il realismo. Crescendo negli anni ho riconosciuto in lui la forma del dramma di una intera generazione e sono arrivato a condividere la sua posizione di fondo: che la modernità non è necessariamente antirealismo".

Quanto è durata la sua ricerca?
"Ho lavorato per circa quattro anni. Le fonti sono relativamente accessibili. E tantissime le informazioni, grazie all'ingente suo lavoro di critico e commentatore e alla sua continua visibilità mediatica. Poi naturalmente, un grande ringraziamento va a Fabio Carapezza che mi permesso l'accesso agli Archivi Guttuso di Palazzo del Grillo, peraltro perfettamente rispondenti alle necessità degli studiosi, e all'archivio Rizzoli".

La lettera dell'amica russa di Guttuso, Julia Dobrovolskaja, però è un inedito assoluto.
"Ci vuole anche fortuna in queste ricerche. Conoscevo Julia da molti anni, da quando era scappata dall'ex Unione Sovietica. Con sé aveva portato poche cose, tra cui questa meravigliosa lettera che Guttuso le scrisse all'indomani della morte di Pier Paolo Pasolini. Una autentica perla, inedita appunto, che testimonia come pochi altri documenti il clima civile e ideologico di quegli anni e che mi ha autorizzato a pubblicare".

Torre di VelateTorre di Velate

Che idea si è fatto di Guttuso?
"Che fosse una personalità tormentata, onestamente tormentata. Sopratutto nelle sue convinzioni ideologiche. Aveva dubbi intelligenti, con momenti difficilissimi, ma era coerente nelle sue scelte, per non sfuggire alle sue responsabilità. Sempre in cerca di profonde domande e altrettanto profonde risposte. Di grande onestà intellettuale. E anche nelle sue scelte artistiche, la sua battaglia per il realismo non è stata immobile, si è evoluta, ad esempio, negli ultimi anni, verso una apertura fortissima all'allegoria".

Diceva prima che il suo realismo non è in contraddizione con la modernità?
"Guttuso è stato il primo a recensire un'opera dello storico dell'arte francese Jean Clair, Critica  sulla modernità. La tesi era più o meno la stessa: modernità non è necessariamente allontanarsi dal raccontare la realtà".

Si dice che l'opera del pittore dopo la sua morte abbia avuto dei vertiginosi cali di consenso e di quotazione.
"C'è stata una vera e propria eclissi su Guttuso. Un silenzio drammatico, dopo la sua morte, in contrasto con la sua enorme visibilità mediatica per buona parte della sua vita. Ma attenzione, occorre essere sismografi, avverto che ci sono dei segnali, anche dalle pagine dei giornali, che la sua arte e la sua figura stanno tornando al centro del dibattito".

Nel suo libro, lei ha dedicato ampio spazio al Guttuso velatese. Eppure la questione della Fuga in Egitto è solo marginalmente toccata. Come mai?
"In realtà il tema del murale al Sacro Monte mi serviva per dimostrare come una certa religiosità scorresse, neanche troppo sotteranea, nelle  opere di Guttuso; dalla ormai mitica Crocefissione del Premio Bergamo, al tema della Cena in Emmaus, dove mai l'artista ha raffigurato il volto del Cristo. Una continuità che è un altro aspetto del suo essere tormentato e volendo in costante "ambiguità", quasi connaturata alla sua vicenda biografica: dal doppio atto di nascita, fino al doppio funerale, prima laico officiato da Moravia e poi religioso, in chiesa".

Ma si è fatto una idea in merito all'opera?
"Ripeto, non sono uno storico dell'arte, né tantomeno del restauro. Da ammiratore posso dire che è bello che l'opera sia lì, in quel contesto e che spostarlo sia non una buona idea. A nessuno, paradossalmente e fatte le debite distanze, verrebbe in mente di spostare il Cenacolo di Leonardo perchè in condizioni precarie".

E la Fuga in Egitto è purtroppo in non buone condizioni.
"Un peccato le lacune di quell'opera. Perché nella sua attività di pittore, si può dire di tutto, ma non che non fosse un sommo, proprio nel merito dell'abilità, della professionalità, della conoscenza manuale del mestiere".