Sentimental journey – Il viaggio pieno di meraviglia di Harald Szeemann. Un viaggio nei territori della storia dell'arte, Beuys su tutti, ma senza traslasciare Delacroix, per dire l'apertura senza pregiudizi alle forme espressive predilette; un viaggio da una parte all'altra del pianeta per impiantare la sua idea, rinnovante e anarchica, di curatore di progetti artistici culturali totali. Itinerari che vengono squadernati con dovizia di documenti – appunti, interviste, fotografie, manifesti, lettere, maquette – in una serrata e concentrata mostra che il Museo d'arte di Mendrisio ha voluto allestire per ricordarlo a quattro anni dalla sua scomparsa, per ricordarne i legami che lo hanno affratellato al Canton Ticino.
Materiale d'archivio – Curata da Simone Soldini, con la collaborazione di Gianna Ruepp, assistente per molti anni di Szeemann e la piena disponibiltà della compagna Ingeborg Luscher, andando a ripescare materiale nello archivio personale conservato a Maggia e dal Museo del Monte Verità, Casa Anatta, creato dallo stesso Szeemann, la mostra racconta quasi cinquant'anni di intenso, incontrattabile amore per l'arte, da parte del più giovane direttore della Kunsthalle – fu insignito dell'incarico a soli 27 anni – fino alle ultime eclatanti manifestazioni da lui firmate. Le due Biennali veneziane, quelle del 1999 e quelle del 2001, intitolata non a caso La Platea dell'umanità, a raccontare di una agorà, davero aperta, ai paesi emergenti così come alla contaminazione dei linguaggi, fino all'ultima, Belgique Visionnaire, firmata a Bruxelles nel 2005, poco prima di morire.
Le mostre spartiacque – Nel mezzo la mostra dispiega i suoi altri visionari progetti: per la Kunsthalle appunto, per la quale Szeemann lavorò dal 1961 al 1969, modificando radicalmente il concetto stesso di curatore; autorizzando, ed esempio, l'artista francese Christo ad impacchettare l'edificio; o inventandosi una mostra spartiacque negli anni sessanta: la celeberrima When attitudes become form, che sdoganò e legittimò in Europa l'arte concettuale, la minimal art, la land art, l'happening; capace di trasformare radicalmente la concezione stessa dell'organizzazione di mostre e degli spazi museali e per la quale pagò un prezzo alto in termini professionali lasciando la direzione della Kunsthalle e inventandosi curatore indipendente, svincolato dalle realtà museali. O la vastissima edizione di Documenta 5 di Kassel, nel 1972, la prima senza il suo storico fondatore Arnold Bode, a sua volta ritenuta una cesura e tra le edizioni più significative della storica rassegna d''arte tedesca.
L'agenzia di se stesso – Non solo eventi per grandi platee, e per le grandi dimensioni. Szeemann è stato anche anche il poetico ideatore di idee come il Museo Immaginario, delle piccole mostre allestite nel proprio appartamento, della rievocazione della sua famiglia di celebri parrucchieri venuti dall'est, fino ad inventare il Museo delle Ossessioni. Odiava il termine critico, preferiva considerarsi un mediatore: realizzare mostre è "la mia vita, un gesto d'amore. Si mostra solo quello che
si ama. E' un andare insieme con gli artisti" raccontò una volta.
Nel 1973 prende forma un altro progetto: L'agenzia per il lavoro intellettuale su richiesta. Un unico dipendente, lui stesso. Un altro modo, serissimamente ironico, per sostenere la propria autonomia di pensiero.
Rabdomante – "Quando devo progettare una mostra visito i luoghi. Ci vado spesso senza dirlo a nessuno, chiedendomi cosa in quel luogo la gente non ha ancora visto, ma anche quali siano le forme della memoria collettiva", spiegava Szeemann illustrando la sua metodologia. Una avventura, ogni volta. Una perlustrazione non da geometra che misura gli spazi ma da rabdomante che cava emozioni, prepara visioni, scommette sulla sorpresa, sul possibile, sul dubbio poetico.