Milano – “Altri pittori dipingono un ponte, una casa, una barca… Io voglio dipingere l’aria che circonda il ponte, la casa, la barca, la bellezza della luce in cui esistono“. E’ una delle tante frasi dette da Cloude Monet, artista tra i più rappresentativi del movimento impressionista.
Il pittore ossessionato dal colore, sua gioia e tormento, innamorato del suo “mestiere” fino al punto di affermare “…Ognuno discute della mia arte e finge di capire, come se fosse necessario capire, quando è semplicemente necessario amare“.
Già amare… Quanta verità in queste parole. L’arte è un amante, basta abbandonarsi tra le sue “braccia” di forme e colori per trovare quei momenti di “estasi” che solo l’amore sa dare.
Tornando a Monet, le sale di Palazzo Reale a Milano ospitano, sino al prossimo 30 gennaio, una grande e suggestiva mostra con 53 opere provenienti dal Musée Marmottan di Parigi, sede del corposo nucleo di lavori del Maestro, donato nel 1926, dal secondogenito Michel.
La mostra
Il percorso della mostra, curata da Marianne Mathieu, è suddiviso in sette sezioni che presentano, in una narrazione cronologica, l’intera parabola artistica di Monet. L’esposizione introduce alla scoperta di opere chiave dell’Impressionismo e della produzione del pittore sul tema della riflessione della luce e dei suoi mutamenti nell’opera stessa, l’alfa e l’omega del suo approccio artistico. Dai primissimi lavori che raccontano il nuovo modo di dipingere en plein air e dalle opere di piccolo formato, ai paesaggi rurali e urbani di Londra, Parigi, Vétheuil, Pourville e delle tante dimore. Si apre così il mondo di Monet, con le sue corpose ma delicatissime pennellate pregne di quella luce, ora fioca e ora accecante, luce unica che ha reso celebri le sue opere. I salici piangenti, l’acqua, le ninfee, la natura dai colori evanescenti che dalla terra incontrano ed entrano nel cielo. Una sezione della mostra è dedicata ai viaggi inglesi (“Londra, il Parlamento”, “Riflessi sul Tamigi”, “Il ponte di Charing Cross”), nei quali Monet modifica la sua tavolozza con nuove cromie suggerite dalla nebbia e dai cieli grigi. Le ultime sale, sono le più toccanti. Sono gli ultimi anni di vita dell’artista e la sua pittura assume una nuova interpretazione, diventa sempre più astratta ed evocativa. Lo si può ammirare nell’ultima sua opera, incompiuta, intitolata “Le rose“: il preludio all’informale.
Giverny: il giardino incantato
Nel 1980 Monet diventa proprietario di una casa a Giverny; qui allestì il suo primo atelier e l’ultima residenza, attorno alla quale crea un giardino tanto bello da sembrare un dipinto vivente. (E’ questo un soggetto che dipingerà fino alla morte). Qui, con cura quasi maniacale, costituisce una sorta di microcosmo dove è presente tutto ciò che ama di più, anche gli stagni dove coltiva le amate ninfee, che racconterà in oltre duecento opere e differenti formati (alcuni lavori superano i 2 metri). Si legge che Monet in questo periodo dipinga come in preda a una sorta di delirio creativo, fino a 10-15 tele alla volta, non esitando a distruggerle se, nel corso della lavorazione, le condizioni di tempo e di luce non sono esattamente le stesse del giorno prima. Queste opere segnano il suo culmine creativo ed espressivo. Si tratta dell’ultimo di una serie di esperimenti con cui porta alle estreme conseguenze i presupposti dell’Impressionismo. L’artista, riferendosi a questo soggetto, descrive così l’essenza della sua arte:
“Ho dipinto tante di queste ninfee, cambiando sempre punto d’osservazione, modificandole a seconda delle stagioni dell’anno e adattandole ai diversi effetti di luce. E, naturalmente, l’effetto cambia costantemente, non soltanto da una stagione all’altra, ma anche da un minuto all’altro, poiché i fiori acquatici sono ben lungi da essere l’intero spettacolo, in realtà sono solo il suo accompagnamento. L’elemento base è lo specchio d’acqua il cui aspetto muta ogni istante per come brandelli di cielo vi si riflettono conferendogli vita e movimento”.
Dall’impressionismo all’informale
Claude Monet, caposcuola dell’Impressionismo, trascorre tutta la sua esistenza dipingendo il “divenire” e la continua mutazione dei soggetti per effetto della luce solare. Il critico Louis Leroy, invece, pubblica un violento articolo sulla rivista Le Chiarivari in cui, parlando del famosissimo quadro di Monet intitolato Impressione, levar del sole, sostiene che “una carta da parati al suo stato iniziale è più rifinita di questa marina” e conclude attribuendo agli artisti l’appellativo derisorio di “Impressionisti”.
… Quella luce, che per tutta la vita ha animato l’opera di Monet, viene alterata dalla malattia agli occhi sopraggiunta negli ultimi anni portando nella tavolozza del maestro nuove sfumature, e tonalità. Sono colori più intimi ed espressivi che dilatano le forme. Un altro Monet o meglio una fase che ancora una volta qualcuno si permette di giudicare come di “decadenza senile”. Dopo anni, intorno al 1950, con le nuove correnti dell’Astrattismo e dell’Espressionismo astratto, finalmente è stato possibile smentire quella “cattiveria” e collocare Monet oltre l’Impressionismo. Quel momento infatti ha rappresentato un collegamento tra gli ultimi decenni dell’ottocento e le esperienze contemporanee.
Nel 1926, con la vista ormai gravemente compromessa, dipinge Le rose, l’ultimo dipinto, dai forti richiami all’informale: ora i suoi fiori si fondono col cielo, quel cielo che l’artista raggiungerà di lì a poco. La sua luce si spegnerà per sempre su Cloude Monet il 5 dicembre dello stesso anno.
La mostra a Palazzo Reale rimarrà in calendario fino al 30 gennaio 2022. Orari: 10-19,30; giovedì 10-22,30. Lunedì chiuso.
Claude Monet
Nasce il 14 novembre 1840 a Parigi. E’ in questa città che, dopo alcuni anni, si iscrive alla “Academìe Suisse” dove, oltre a rimanere colpito dalla pittura di Delacroix, Daubigny e Corot, incontra artisti specializzati in paesaggi, come Pissarro, Bazille, Sisley e Renoir. Insieme formano una combriccola, si scambiano idee, intenti, oltre a condividere momenti di pittura “dal vero” nella foresta di Fontainbleu.
Intanto esegue anche caricature, un genere di cui è sempre stato un maestro fin dalla fanciullezza, riuscendo a pubblicarne alcune su fogli satirici. Il 29 aprile 1861 riceve la chiamata alle armi da cui non può esimersi. E’ arruolato nel corpo dei cacciatori d’Africa e a giugno parte per Algeri. In seguito dirà di essersi preparato proprio qui all’impressionismo.
Poco dopo, grazie all’intervento della zia Marie-Jeanne, riesce a essere esonerato.
Nel 1862 a Parigi incontra Renoir e Sisley, oltre a ritrovare Bazille. Appartengono a questi anni alcuni paesaggi dei dintorni di Honfleur. Nel 1867 dipinge “Donne in giardino”, tappa fondamentale nelle ricerche impressioniste. Da questo momento in poi diventa costante l’impegno di identificare pittura e natura, immagine e forma, e di cogliere attimo per attimo la realtà.
Nelle opere del decennio ’70-’80 sono espresse tutte le concezioni impressioniste. Sono si questo periodo “La colazione”, “Il ponte di Argantuil” e il celebre “Impression, soleil levant”, dal quale prenderà il nome il gruppo degli impressionisti.
Nel 1871 muore il padre e si trasferisce a Londra dove sboccia l’interesse per Turner e Constable. Dieci anni più tardi, da settembre a novembre del 1881, soggiorna a Belle-Ile-en-Mer, in Bretagna dove realizza una quarantina di dipinti che terminerà poi a Giverny. Qui inizia la serie degli “stagni”. La sua reputazione internazionale cresce: espone ancora a Parigi, San Pietroburgo, Mosca, New York, Dresda e Boston. Nello stesso anno gli viene diagnosticata una doppia cataratta, ma l’operazione agli occhi viene rimandata. I problemi alla vista si aggravano anno dopo anno mentre avanza un tumore al polmone. Morirà il 5 dicembre del 1926 a Giverny.
E.Farioli