Dalla primavera del 2007 – La chiesa di Sant'Agata, nota con il nome di chiesetta di Monte, a partire da maggio dello scorso anno, è stata sottoposta a una serie di interventi realizzati in concorso con le Soprintendenze ai Beni architettonici, archeologici e culturali, grazie all'iniziativa di Don Natale Castelli, parroco di Solbiate. Le numerose infiltrazioni d'acqua e l'alta percentuale di umidità avevano rovinato le strutture murarie esterne ed interne dell'edificio, provocando lo scrostamento degli intonaci e il rigonfiamento degli affreschi quattrocenteschi dell'abside.
L'architettura – Il recupero architettonico, a cura dell'arch. Armando De Falco, ha interessato in genere tutto la struttura sacra, compresi tetto del presbiterio e formelle del portone d'ingresso (opera del solbiatese Antonio Ciancia) che sono state stuccate, patinate, satinate a caldo e cerate per essere ricollocate su un nuovo telaio di rame. Sono stati rimossi gli intonaci di cemento esterni ed interni con altri a base di calce ed è stata realizzata un'intercapedine perimetrale per difendere l'intera struttura dalle aggressioni dell'umidità. Si è optato anche per una messa in opera di un pavimento in cotto fiorentino nella zona dell'abside di comune accordo con la Sovrintendenza e sono stati rimessi infine a nuovo l'impianto elettrico, sonoro e di illuminazione.
La conservazione degli affreschi – La ditta Arké, specializzata nel recupero di dipinti murari, ha agito in nome della conservazione: tutte le integrazioni, effettuate sull'opera originale nel corso di un restauro precedente, sono state tolte a discapito dell'estetica e del falso storico, mentre le piccole lacune sono state integrate da un velo leggero di acquerello steso con tecnica a rigatino. Nel corso dei lavori Fulvio Baratelli e Umberto Brianzoni, responsabili della società, hanno inoltre riportato all'antico splendore la teoria dei vizi e delle virtù dipinta nella zoccolatura dell'abside, e scoperta la presenza di labili tracce di affresco sull'arco trionfale, oggi occultato per tre quarti dal soffitto cassettonato, dove probabilmente erano raffigurati il Padre eterno nella Città celeste e l'Annuncio a Maria.
Adesione, redenzione, salvezza – Fulvio Baratelli spiega che perché il ciclo pittorico, raffigurato su arco ed abside, possa essere interpretato, è necessario fare riferimento ad un ambito culturale che si pone a cavallo tra Medioevo e mentalità immediatamente successiva. La simbologia religiosa, molto cara alla società medievale, si dispiega, infatti, sulle pareti della chiesetta di Solbiate, ma alcune iconografie si emancipano dalla tradizione precedente. Nella cultura cristiana lo spazio architettonico della chiesa, sottolinea Baratelli, è altamente simbolico, per cui quanto più ci si avvicina alla parte presbiterale dell'aula, tanto più la chiesa ci parla di Dio e di avvicinamento a lui da parte del fedele. Così, l'arco trionfale, dove un tempo erano visibili la città di Dio ed una Annunciazione, è la parete che parla dell'adesione al credo cristiano e della salvezza. Una salvezza che può avvenire, però, solo attraverso la redenzione dei peccati, la cui espiazione è resa possibile dalla vittoria della vita sulla morte, ossia attraverso la crocifissione di Cristo, che effettivamente è visibile al centro dell'abside. Il padre eterno in mandorla, raffigurato nel catino absidale, così come le figure degli evangelisti dai chiari tratti fisionomici, i vizi e le virtù dislocate non più secondo il
sistema binario, tipicamente medievale, così anche gli apostoli tradiscono un'immagine che si slega progressivamente da quella del passato, per acquisire nuove forme e quindi nuovi significati. "Particolarmente eloquenti", sottolinea Baratelli, "sono i libri chiusi rappresentati nella scena teofania". "Essi", continua il responsabile della ditta Arkè, "dovrebbero richiamare la tradizione cristiana trasmessa oralmente e divenuta parte integrante della stessa a fianco di quella canonica trasmessa dalle Sacre Scritture: il tutto a simboleggiare il cammino di fede del cristiano che può salvarsi e raggiungere la città eterna solo percorrendo all'interno e grazie alla Chiesa".
Il senso delle pitture – Nella chiosa finale di Don Natale è racchiuso il senso dei splendidi affreschi che sovrastano l'altare: "sono un dipinto della fede che si manifesta all'interno della Chiesa, entro la storia della Salvezza". "Una salvezza che può avvenire", ha proseguito il parroco, "non solo attraverso la fede, ma anche attraverso la ragione, come ci indica la razionalità geometrica con la quale questi affreschi sono stati dipinti". E nell'uso della ragione oltre alla fede emerge la mentalità del XV secolo, cui queste pitture appartengono.