Si snoda tra sacro e profano, tra miseria e nobiltà l’impianto narrativo de “Il cappello del prete” di Emilio De Marchi (Milano 1815-1901) edito da Rizzoli (pp. 320, Euro 12).
Trova aspetto intrigante la milanesità dell’autore a confronto con l’ambientazione partenopea entro cui scorre la storia.
Pubblicato in prima battuta a puntate sul quotidiano milanese “L’Italia” nel giugno del 1887, “Il cappello del prete” vede di nuovo la stampa, l’anno successivo, sul Corriere di Napoli per giungere in veste finale presso le Edizioni Treves.
La vicenda si apre a fronte di un debito di 15 mila lire maturato dal Barone Carlo Coriolano quale causa di una vita dedita a vizi d’ogni genere. La non soluzione del contenzioso vedrebbe il barone costretto a vendere Villa di Santa Fosca, sua storica proprietà.
La soluzione di tale inghippo risiede nella figura di Don Cirillo, detto “o prevete”. Figura discussa persino all’interno della chiesa in quanto su di lui aleggiano voci di usura accomunate a proprietà divinatorie riguardo al gioco del lotto.
I due personaggi ingaggiano una subdola partita mascherata di buone maniere dove l’uno tende, con mosse scaltre, a raggirare l’altro. Sarà l’avidità a fare compiere una scelta estrema al barone.
Se pur pianificato con meticolosa perizia, ad incrinare la teoricità del piano messo in atto dal blasonato protagonista, si insinuerà una piccola disattenzione che farà del cappello dl prete, l’elemento determinante atto far luce sull’intera vicenda.
Emilio De Marchi – “Il cappello del prete” – Garzanti, pp. 320, Euro 12
Mauro Bianchini