Milano – Per andare a vedere la mostra “Divisionismo. 2 collezioni” alla Galleria d’Arte Moderna son passato senza volerlo a fianco del Palazzo della Permanente e mi è venuto in mente tutto, subito: il periodo, gli amici con cui l’avevo visitata, certe opere, il catalogo dalla copertina gialla striata di bianco… “Mostra del Divisionismo Italiano”, primavera del 1970, tema di studio e di lavoro svolto in gran fervore all’Istituto di Storia dell’Arte all’Università
Statale che io frequentavo ogni giorno – occupazioni a parte – assistendo a tutto il passarsi fra Rosci e Birolli, Dalai e De Vecchi e Scotti di appunti e schede su questi benedetti “divisionisti” che dovevano tornare alla luce e alla considerazione degli studiosi, e non solo. Ricordo anche l’impatto, epico, del Quarto Stato di Pellizza da Volpedo fino ad allora relegato in un salone di Palazzo Marino e invece alla Permanente squadernato ad accogliere i visitatori della mostra e poi la bellezza stupefacente e commovente dei quadri esposti e il desiderio di approfondire, magari con la tesi, artisti di cui era già tanto se si conosceva il nome…
Cinquant’anni dopo il divisionismo non è più la sorprendente rivelazione di allora; altre esposizioni, più o meno di qualità, hanno arricchito la nostra conoscenza; sui protagonisti e anche sui comprimari si sono fatti studi; molto è stato scritto e pubblicato. Eppure non si sa ancora tutto ed è per questo vantaggioso, oltre che piacevole visto il modo cattivante con cui è composto, aprire, leggere, fermarsi davanti alle immagini del volume (edito da Electa con la Fondazione Cassa di Risparmio di Tortona) che per l’occasione della mostra vede la luce. Lo ha composto Giovanna Ginex non in forma di tomo destinato agli addetti ai lavori e nemmeno di un catalogo patinato di opere tutte “courtesy” e di testi di “citami tu che ti cito io”, bensì come un album di quelli a formato oblungo “dipinti d’anemoni arcaici” (Gozzano scripsit) che stavano poggiati sul gueridon dei salotti borghesi. Si intitola dunque giustamente “Album del Divisionismo” con l’aggiunta a sottotitolo di una sottile domanda: “mais d’abord que sont ces “divisionnistes”? Una domanda a cui Giovanna Ginex risponde con
scrupolosa accuratezza percorrendo l’intera traettoria del divisionismo, dal finire degli anni Ottanta dell’Ottocento fino ai primi del nuovo secolo con il passaggio di taluni al futurismo e col “borghesizzarsi” di altri. E lo fa sfoggiando una conoscenza del movimento senza pari, frutto di una puntigliosa ricerca credo durata anni, una ricerca che definisce e chiarisce alla luce delle fonti ed infatti se citazioni ci sono, sono di testi e di lettere di compagni d’arte e di critici di quel periodo. Un materiale riproposto con scrittura pulita e accattivante, che invita ad andare avanti, pagina dopo pagina, contenti, quando si è alla fine, di essersi schiariti occhi e mente su questa tendenza artistica dai molteplici interessi.
L’Album è arricchito da leggeri disegni a matita e a inchiostro creati “ad hoc” dall’illustratrice Anna Masini e dalle immagini di opere conservate in quel forziere del divisionismo che è la collezione della Fondazione C.R. Tortona. Proprio da lì si è attinto copiosamente per organizzare la mostra completata con significative opere della GAM la quale ospita la rassegna (fino al 6 marzo 2022) in cinque sale al pianterreno della sua sede in via Palestro.
Divisa per temi – gli antefatti scapigliati, il paesaggio, la pittura sociale, la svolta verso la modernità – e con un cameo riservato ai pastelli, tecnica che si presta al fare divisionista, questa rassegna milanese raggruppa in modo avviluppato le figure più significative di un movimento assolutamente non provinciale che tra l’altro vede al centro la vivacità culturale di Milano col fervere di esposizioni, dibattiti, incontri e scontri. Vi si ammirano o riammirano quadri di alta tenuta, taluni fin emozionanti, scelti con meditata sapienza per dimostrare e far capire che il divisionismo non è stato solo “dividere i colori sulla tela”, come ci insegnavano frettolosamente al Liceo, ma molto, molto di più.
Giuseppe Pacciarotti