Padani ante litteram – Sono lontani i tempi in cui il primo cittadino Aldo Fumagalli esortava a guardare il monumento al Garibaldino in piazza Montegrappa come ad un anticipazione del movimento padano: "Il milite – diceva allora il borgomastro – ha lo sguardo puntato verso nord, unico caso in Italia. Segno che già ai tempi la città si riconosceva nella lotta di liberazione verso lo straniero".
C'è un'aria… – C'è in giro adesso un'altra retorica, peraltro stigmatizzata e stigmatizzabile, del Garibaldi unitario e, nella sua versione più caratterizzata, così di moda da queste parti, del Garibaldi ambiguo, o 'eroe cialtrone', causa di non pochi mali, se non origine di tutti i guai del nord. Varese ha deciso di non essere 'città garibaldina': istituzionalmente non si riconosce nel programma di iniziative che fanno boa intorno al 4 di luglio, bicentenario di nascita del Generale. E questo nonostante molti intellettuali, documenti alla mano, insistano da tempo nell'esatto contrario, Luigi Zanzi, Giuseppe Armocida su tutti.
Tracce che parlano – C'è un fatto incontrovertibile tuttavia di cui tener conto: le tracce, le testimonianze, i testi artistici. Che raccontano quanto meno di una eredità che forse andrebbe valorizzata, coltivata, esercitata più e meglio. La famosa raccolta di armi e indumenti garibaldini conservata a Villa Mirabello, richiesta alcuni mesi dal Museo del Paesaggio di Verbania e rimasta a 'casa' per le sue condizioni non proprio ottimali. E' solo un esempio.
L'originale del monumento al Cacciatore delle Alpi del Butti, rinchiuso nella pericolante Caserma Garibaldi, a sua volta bisognoso di qualche cura. Un altro esempio.
Lo sbarco monumentale – Il mondo esterno che sta celebrando l'occasione guarda a Varese e trova. L'ultima richiesta è partita da Mantova, Palazzo Te, Centro Internazionale d'Arte e Cultura. Nella dimora rinascimentale affrescata da Giulio Romano a partire da ottobre si inaugura la mostra: "La nazione dipinta. Storia di una famiglia tra Mazzini e Garibaldi". Tra i documenti, le opere che affrescano quell'epoca ci potrebbe essere Lo sbarco a Sesto Calende, opera di Eleuterio Pagliano, del 1865, tra le più significative dell'Ottocento nelle collezioni civiche varesine, raffigurante il transito dei Cacciatori delle Alpi lungo il Ticino nel 1859, per anni collocata nel vecchio ingresso di Villa Mirabello, ora sistemata in una zona fuori dalla fruizione del pubblico, benché sicura e protetta.
Verifiche di fattibilità – Il condizionale è d'obbligo. L'opera sta attendendo il 'visto' della sovrintendenza allo spostamento. Di dimensioni monumentali, circa 6 metri per 2,50, già rifoderata in epoca imprecisata, restaurata nel 1982 in occasioni di precedenti spostamenti, – tra l'altro proprio in Caserma Garibaldi – l'opera è in fase di valutazione. "Stiamo verificando con i funzionari del Ministero – racconta Emanuela Bertoni, consulente presso i Musei Civici per quanto attiene alla conservazione dei beni artistici – la possibilità che sussistano le condizioni di uno spostamento che non ne pregiudichi l'integrità. L'opera presenta alcuni sollevamenti della pellicola pittorica. Si deve valutare se circoscritti o a rischio di estensione durante il viaggio".
Testimone scomodo o testimonial – Il parere, altrettanto vincolante, della direzione dei Musei, è stato dato ed è positivo. Il progetto presentato dai responsabili mantovani è stato giudicato serio e garante di tutte di tutti gli accorgimenti necessari. In secondo luogo, il prestito, prestigioso, prosegue nella direzione intrapresa negli ultimi anni di valorizzazione del patrimonio, sopratutto quello ottocentesco, dei Civici Musei, che ha visto viaggiare, il proprio Hayez, il Ranzoni, il Pelizza per mostre importanti. Se deve essere una testimone inascoltato 'in patria' dell'epopea garibaldina, che il Pagliano sia almeno testimonial di una non banale raccolta d'arte.