Montale nasce a Genova nel 1896 e viene iscritto a studi tecnici, più brevi rispetto a quelli classici, per via della sua salute precaria. Non terminerà nemmeno questi, in realtà, ma ciò che veramente ha fatto di Montale quello che ricordiamo noi oggi è stato quello che ha fatto da solo: frequentava assiduamente le biblioteche di paese e si era appassionato alle lezioni di filosofia della sorella.
Nonostante le sue condizioni di salute allo scoppio della guerra mondiale Montale vuole entrare nell’esercito e, con fatica, ci riesce. Durante l’affermazione del fascismo se ne dichiara estraneo e il più possibile distante ma attenzione non per una dimensione politica quanto culturale: sente una profonda negatività nei confronti del modo in cui la società moderna è andata sviluppandosi. E come dargli torto.
Quando si trasferisce a Firenze, Montale frequenta l’ambiente letterario italiano, lo conosce, lo studia e ne diventa una colonna portante. Lo fa suo, in qualche modo. Passa gli ultimi anni della sua vita a Milano, riconosciuto come uomo di grande sapienza quale era, nel 1975 ricevette il premio Nobel.
Parlando di se diceva: sono un uomo come gli altri e non si può chiedere a nessuno di fare l’eroe. Chissà se sapeva, già allora, che di uomini come lui in realtà non ne sarebbero esistiti altri.
Ripenso al tuo sorriso
Ripenso il tuo sorriso,
ed è per me un’acqua limpida
scorta per avventura tra le petraie d’un greto,
esiguo specchio in cui guardi un’ellera i suoi corimbi;
e su tutto l’abbraccio d’un bianco cielo quieto.
Codesto è il mio ricordo; non saprei dire, o lontano,
se dal tuo volto s’esprime libera un’anima ingenua,
o vero tu sei dei raminghi che il male del mondo estenua
e recano il loro soffrire con sé come un talismano.
Ma questo posso dirti, che la tua pensata effigie
sommerge i crucci estrosi6 in un’ondata di calma,
e che il tuo aspetto s’insinua nella mia memoria grigia
schietto come la cima d’una giovinetta palma.
Questa poesia è tratta da Ossi di Seppia, che fa parte dei primi libri di poesia dello scrittore. Quando gli viene chiesto di parlarne Montale li spiega dicendo che è come se questi fossero scritti in frac, gli altri invece in pigiama, o in abito da passeggio. Ma in realtà le uniche e fondamentali differenze stanno nell’accento, nella voce, nell’intonazione. Questo perchè Montale non amava solo la poesia nel suo essere produzione scritta, amava la poesia nella musica, nel suono, nel canto.
Nel fumo
Quante volte t’ho atteso alla stazione
nel freddo, nella nebbia. Passeggiavo
tossicchiando, comprando giornali innominabili,
fumando Giuba poi soppresse dal ministro
dei tabacchi, il balordo!
Forse un treno sbagliato, un doppione oppure una
sottrazione. Scrutavo le carriole
dei facchini se mai ci fosse stato
dentro il tuo bagaglio, e tu dietro, in ritardo.
Poi apparivi, ultima. È un ricordo
tra tanti altri. Nel sogno mi perseguita.
Le donne cantate da Montale. Ce ne sono state molte, erano donne molto diverse tra loro, o forse molto simili ma la bravura del nostro poeta è stata nel cogliere le loro particolarità, ad ognuna la sua. Alcune sono salvifiche, altre terrene, c’era una donna che non parlava mai e in questo stava il suo grande fascino ma, come dice lui stesso, potrebbe essere anche che dietro questo affascinante silenzio, in realtà, non ci fosse nulla.
Le poesie di Montale sono scritte giorno per giorno, a volte non sono nemmeno poesie ma appunti per poesie che poi non ha più pensato di scrivere, perchè gli appunti bastavano. Quello che noi oggi leggiamo non sono versi scritti con l’intento di creare un capolavoro, sono pensieri annotati senza troppa attenzione che però hanno creato dei capolavori.
In limine
Godi se il vento ch’ entra nel pomario
vi rimena l’ ondata della vita:
qui dove affonda un morto
viluppo di memorie,
orto non era, ma reliquario.
Il frullo che tu senti non è un volo,
ma il commuoversi dell’ eterno grembo;
vedi che si trasforma questo lembo
di terra solitario in un crogiuolo.
Un rovello è di qua dall’ erto muro.
Se procedi t’ imbatti
tu forse nel fantasma che ti salva:
si compongono qui le storie, gli atti
scancellati pel giuoco del futuro.
Cerca una maglia rotta nella rete
che ci stringe, tu balza fuori, fuggi!
Va, per te l’ ho pregato, – ora la sete
mi sarà lieve, meno acre la ruggine…
Questa lirica scritta quando Ossi di Seppia era in fase di costruzione, fu messa all’inizio per presentarne la tematica profonda.
Ovvero quella di una vita chiusa in un cerchio, sempre uguale, immutabile, bloccata da una rete di confine difficile da evadere e dall’altra parte? I ricordi, le memorie spente che riportano soltanto il finire di un tempo ormai perso. Ma è ancora possibile incontrare qualcosa che non ci si aspetta, che porti la salvezza; Come? trovando una maglia rotta dentro quella rete che ci faccia fuggire via da una vita che non ci appartiene, perchè immobile.
Il poeta, dall’alto della sua grandezza inconsapevole non chiede per se la salvezza ma per una donna, per lei, perchè solo l’amore può rompere a monotonia e l’immobilità di questa vita. La donna può farlo, ancora e sempre. Questo è il sottile quasi invisibile filo conduttore di tutta la poetica di montale, la profonda convinzione che una maglia rotta esista e che bisogna solo essere ancora in tempo per trovarla, una donna non è mai in ritardo e solo una donna può salvare lui, come ogni uomo.