La clausura dovuta al virus,previo adeguate cautele, pare giunta al termine aprendo spazi retrospettivi e propositivi, a meno che l’illogicità del potere politico proibisca l’apertura tra regioni aprendo a voli internazionali e a compagnie aeree che hanno imposto la loro volontà ottenendo l’annullamento delle distanze di sicurezza.
Se non potendo accedere ai rispettivi studi, pittori e scultori hanno comunque potuto operare in spazi domestici, un fotografo la cui specificità non sia lo still life, come ha vissuto questi mesi si isolamento?
A tale proposito abbiamo incontrato nella sua abitazione di Castelletto Sopra Ticino Andrea Penzo, classe 1992, per conoscere come umanamente e professionalmente come ha vissuto il suo confino.
Al netto di ogni retorica, come è andata?
“Durante le prime settimane mi sono guardato attorno, ho cercato di osservare con attenzione l’ambiente nel quale vivo con uno sguardo nuovo e a tal punto, ispirandomi alla pittura di Morandi, ho accostato oggetti d’uso comune per poi fotografarli. Ho inoltre osservato il mutare della luce durante le ore del giorno e ho cercato di fissare in immagini ogni minima sfumatura. Dopodiché ho iniziato a ordinare i miei archivi, accorgendomi di quanto fotografare in digitale crei accumuli obsoleti. Mi sono dedicato, parallelamente alla fotografia, alla creazione di alcuni video, ma per ora il materiale è lì in attesa di montaggio”.
L’avvento del virus ti ha fatto saltare due mostre dove le tue fotografie dialogavano con artisti che operano attraverso il segno e il disegno.
“Le mostre non sono state cancellate, il problema è capire quando.
La prima era con Claudia Canavesi dove i nostri lavori si concentravano sulla specificità degli spazi e su un comune sentir stilistico e concettuale.
Il lavoro con Azelio Corni, che ho condiviso fotograficamente con Alberto Visconti, ha più un taglio documentativo. Lo studio di Azelio, composto da grandi spazi all’interno di un ex filatoio, è affascinante e le sue opere, di grandi dimensioni si impongono alla suggestione dell’ambiente definendo a pieno la personalità di chi le ha concepite. A tale proposito mi ha fatto piacere quando nel corso della serata a lui dedicata presso la sede del Fotocineclubverbano a Sesto Calende, Azelio ha dichiarato di avere visto attraverso le mie immagini il suo lavoro sotto un’ottica nuova”.
Recentemente hai avuto un importante riconoscimento: sei stato tra i finalisti del Premio Arti Visive San Fedele con alcune tue foto in mostra, cosa hai ricevuto da una simile esperienza?
“Sino a quel momento avevo frequentato esclusivamente ambienti fotografici. In quell’occasione ho avuto l’opportunità di relazionarmi con persone che spaziavano dalla pittura, alla scultura, dal disegno, al cinema.
E’ stata una esperienza coinvolgente e intellettualmente stimolante”.
Essendo privo di paraocchi ti distingui dalla categoria di chi è convinto che la fotografia sia l’unica forma d’arte possibile. I tuoi interessi spaziano dalla lettura ad altre forme d’arte, dalla musica al cinema che per forza maggiore siamo stati tutti costretti a vedere il televisione. In merito a tutto ciò, come ti sei mosso?
“A volte mi rimprovero di non avere impegnato nel migliore dei modi il tempo a disposizione ho letto alcuni romanzi di Murakami, autore che mi affascina per le sue sfumature oniriche e per l’introspezione dei personaggi, in ambito fotografico ho riflettuto su alcune immagini di Ghirri , ho riletto “Lo specchio vuoto” di Scianna, interessante analisi sulla memoria e sull’identità. Film pochi, tra tutti “Fuoco cammina con me” di Lynch, una serie televisiva, non di ultima uscita, quale “Boris”, dove si colgono i vizi insiti negli ambienti televisivi. Per quanto riguarda la musica, il gruppo C.S.I. e la riscoperta di una trilogia di Neil Young, dalle sonorità intime, ideali in questo periodo”.
La clausura, previa l’imbecillità di quelli che non mettono la mascherina e dei loro simili che pur indossandola la tengono calata sul collo perché fa ganzo, pare giunta al termine, progetti immediati?
“Al di là delle due mostre da riprogrammare vorrei dare certezza agli appunti e ai progetti messi su carta ripartendo con rinnovata energia”.
Se pur brevemente, al fine di fare intendere le tendenze creative di Andrea Penzo, riportiamo quanto scritto da Chiara Canali e Cristina Moregola.
“Andrea Penzo è un giovane fotografo che ha scelto di utilizzare un linguaggio in bianco e nero, fortemente contrastato, duro, privo di grigi, il cui impatto comunicativo si esprime attraverso la forma e la composizione della foro”.
“Negli spazi aperti, nelle piazze e strade di una invisibile città interpretata da Penzo come fosse un palcoscenico definito solo da luci e ombre si muovono simili a comparse gli attori sociali, abitanti di uno spazio indefinito e di una oscura immensità”.
Mauro Bianchini