Milano – Si poteva fare soltanto una mostra dedicata al vasto ciclo pittorico esaltante il mondo naturale conservato in Palazzo Sormani, nella sala cosiddetta del Grechetto, nome del suo supposto autore, ma figuriamoci se Giovanni Agosti e Jacopo Stoppa a fronte di questa proposta potessero accontentarsi di compiere solo un lavoro di serrata filologia. E così hanno inventato una mostra “sui generis”, non solo attraente per tutte le meraviglie che presenta, ma anche di stimolo per far vedere, come scrive l’assessore Filippo Del Corno, “la natura con occhi nuovi, per tornare a meravigliarsene con stupefatta innocenza e per studiarne la perfezione, con cura e desiderio di conoscerne i segreti”.
Intitolata “Il meraviglioso mondo della natura. Una favola tra arte, mito e scienza”, l’esposizione è visibile fino al 14 luglio al piano nobile di Palazzo Reale entro un azzeccato allestimento di Margherita Palli. Essa trova una breve ma intensa “ouverture” in due fogli grafici: uno raffigura un gatto che, tutto soddisfatto, si gusta il pezzo di cacio rubato; l’altro è nientemeno che un foglio del Codice Atlantico dove Leonardo ha fissato un altro gatto intento alla sua toilette. Quest’ultimo disegno proviene dalla Veneranda Biblioteca Ambrosiana, in questo frangente generosissima tanto da aver prestato anche l’arcifamosa “Canestra” del Caravaggio cui fa da contraltare l’altrettanto noto “Piatto metallico con pesche e foglie di vite”, opera virtuosistica di Giovan Ambrogio Figino.
In breve cammino si raggiunge poi la sala delle Cariatidi dove è stato ricostruito il salone del palazzo milanese in contrada del Monte n. 872, per il quale venne creato il grandioso complesso pittorico. In questo sono raffigurate entro il verde florido e vario della natura più di duecento specie di animali richiamati dalla musica di Orfeo (ill. 1-2) a cui non rinunciano nemmeno Bacco bambino e le premurose ninfe del monte Nisa. A far dipingere tra il 1675 e il 1680 questa straordinaria sequenza di tele, “forse ad oggetto di adombrare una collezione di storia naturale”, secondo la Guida del cav. Luigi Bossi pubblicata nel 1818, fu il nobile Alessandro Visconti, capocaccia di Ferdinando II granduca di Toscana. Proprio nella città medicea il nobile milanese trovò gli artisti giusti per far dipingere la serie di tele che aveva nella mente: prima un giovane olandese di cui non è stato tramandato il nome e poi Pandolfo Reschi, nativo di Danzica ma di stanza a Firenze e Livio Mehus che, fuggendo dalle Fiandre in seguito alla guerra dei Trent’Anni, prima ancora di approdare in terra toscana, aveva sostato a Milano. A questi due pittori – il primo capace di rappresentare con sottile minuzia la natura, il secondo artefice delle figure di Orfeo e di Bacco bambino col suo seguito – toccarono dunque l’onore e l’onere di “arredare” la sala in palazzoVisconti, palazzo passato poi ai Verri “la cui famiglia è celebre nella storia patria”, con tanti saluti dunque al genovese Grechetto che d’altra parte nemmeno vide le pitture essendo scomparso prima della loro realizzazione.
Sarebbe davvero auspicabile che queste tele, dopo l’inderogabile restauro, fossero sistemate in un ambiente più consono di quello in palazzo Sormani, così che si possa cogliere in modo coerente la sequenza di questo Eden dipinto che tuttora coinvolge tanto che non si finisce più di guardarlo, scoprendo ad ogni occhiata un nuovo animale o un nuovo arbusto, tutti sempre impeccabilmente effigiati. Lo stupore non ha però conclusione in questa sala; continua infatti in un altro ambiente dove, complici il Museo di Storia Naturale di corso Venezia e la sapiente scenografia di Margherita Palli, quasi tutti gli animali dipinti sembrano risvegliarsi alla musica divina di Orfeo e presentarsi belli e veri (ill. 3-4) per la gioia e la meraviglia dei bambini che li additano alle mamme e alle nonne a cui luccicano gli occhi vedendo i loro pargoli contenti come una Pasqua. E anche noi visitatori di questa mostra un po’ bizzarra ci aspetteremmo di assaporare, uscendo, i colori, i profumi e i suoni della natura. Pia illusione: fuori ci aspettano solo ingordi piccioni e poche spaesate palme.
Giuseppe Pacciarotti