“Soliloquio” per il dizionario è un “colloquio tra sé e sé, nell’ambito di un momento riflessivo o meditativo”.
“Soliloquio” per la galleria Punto sull’Arte è la mostra che mette a confronto i dipinti di Federico Infante con le sculture di Johannes Nielsen.
«Il titolo è nato dal rendersi conto che questi due artisti scelgono a figura umana nella solitudine. – spiega la curatrice Alessandra Redaelli – Lo scultore per motivi di mezzo, anche se si tratta proprio di una figura umana iconica e sola. Mentre il pittore per una scelta personale della divisione tra sfondo e figura, in cui lo sfondo diventa l’ambientazione psicologica della figura».
«Sono opere che parlano in maniera molto emozionale, – continua Redaelli – quindi ci siamo immaginati dei Soliloqui anche all’interno dello spettatore, di chi guarda l’opera».
Gli artisti, entrambi stranieri, hanno già esposto negli spazi della galleria. E portare la sua opera in Italia è un grande privilegio per Federico Infante, di origine cilena, oggi trasferitosi negli Stati Uniti.
La sua formazione ci porta a un periodo difficile per il Cile. «Sono cresciuto in una famiglia che ama l’arte: mia madre stessa è pittrice e mi ha incoraggiato a credere nelle mie capacità artistiche al punto di farne una professione. Erano però gli anni Ottanta, il tempo della Dittatura di Augusto Pinochet. Credo che il Cile porti ancora sulle spalle le conseguenze di quello che ha vissuto a partire dagli anni Settanta. Quando ho iniziato a studiare Arte i miei professori avevano vissuto quell’esperienza ed erano fortemente convinti che l’Arte fosse una sorta di arma, uno strumento per attaccare lo stato delle cose. Però la maggior parte delle influenze cilene sono europee: si guarda all’arte tradizionale, ma anche a quella progressiva e concettuale».
E questo ci riporta all’avventura artistica di Infante che ha iniziato a disegnare già da bambino, tra la meraviglia degli amici e il sostegno di una famiglia che «ha sempre creduto che l’Arte avesse un significato».
«In Cile, quando finisci il liceo, devi decidere quale sarà la tua professione – continua Infante – e io pensavo al Disegno Architettonico. Volevo occuparmi di qualcosa di pratico e razionale, ma mia mamma ha insistito tanto affinché frequentassi una scuola d’arte. Non appena sono arrivato all’Istituto d’Arte e ho comiciato a frequentare i laboratori, mi sono sentito a casa! E in quel momento ho deciso di fare dell’Arte la mia vita».
Infante ha vissuto in Cile fino ai 30 anni e in quel paese affondano le sue radici. Vengono da lì molte delle emozioni e delle atmosfere che si trovano nei suoi dipinti. «Credo che il nucleo, il cuore di tutte le mie emozioni, sia dove sono cresciuto. E’ il paese che ho assorbito e respirato in modo inconsapevole quando ero bambino».
Però non era il luogo adatto a far crescere la sua arte.
«Secondo me il Cile, dal punto di vista artistico, è un ambiente molto concettuale e serio. – sottolinea – Laggiù la mia passione per il disegno e per la pittura non aveva la possibilità per crescere. Anche se ho provato a fare lavori diversi, non mi sono mai sentito benvenuto. Le cose sono migliorate solo quando sono andato negli Stati Uniti. Oggi faccio molte mostre in Cile e tengo diverse conferenze: non credo di avere più bisogno di un’approvazione da quell’ambiente. So quello che voglio fare e mi piace quello che faccio: credo sia il massimo! Sono felice».
Uno degli stati più produttivi per un artista.
L’evoluzione artistica di Infante ci riporta a New York, dove si iscrive all’Art School e realizza una cosa importante sul suo lavoro: la presenza dell’elemento narrativo, l’idea di uno “storytelling”. «La mia intenzione è sempre stata quella di creare una sorta di ambientazione nei dipinti che fosse un ulteriore supporto a partire dal quale ciascun osservatore potesse sviluppare un personale progetto narrativo» ricorda l’artista, che ha frequentato un Corso di Illustrazione per guidare la sua idea di narrazione.
Federico Infante ha illustrato una ristampa di “Lolita” di Nobokov e afferma che gli piacerebbe illustrare altri libri.
Arriviamo così alle sue tele, che catturano il nostro sguardo.
«Quando ho la tela di fronte inizio a dipingere applicando e rimuovendo strati di colore in modo istintivo. – spiega – Uso una spatola per distribuire le tinte ed è un momento espressivo ed emozionale, privo di pensiero. Così emerge lo sfondo, che esprime quella parte a cui, all’inizio, non ho ancora dato forma con la mente, a cui devo ancora connettermi. E’ un momento ricco di sperimentazione. E’ facile. Non appena inizia a nascere lo sfondo, qualcosa nella mia mente si connette con esso. Devo capire in che direzione vuole andare l’opera e, allora, diventa più complesso, perché devo cercare un equilibrio tra due elementi: la parte più inconscia ed espressiva con l’idea di quello che voglio dipingere».
Ed ecco che, sullo sfondo, si stagliano le figure prive, però, di ogni elemento rappresentativo, come il volto stesso. «Se disegno un volto che assomiglia troppo a quello di una persona famosa, per molti è una limitazione alla possibilità di connettersi con l’immagine. Se l’immagine non è troppo presente, la mente è libera di creare».
Le figure sulle tele di Infante sono soprattutto femminili.
L’autore spiega di preferirle perché gli consentono di mantenere una certa distanza.
«Quando dipingo le figure maschili, sento che sono troppo vicine a quello che io stesso sono, è come fossero un ritratto, un dipingere me stesso. Per evitare in qualche modo di farlo, anche se dipingere me stesso è quello che faccio in ogni mia tela, disegno figure femminili».
E l’osservatore viene trasportato nel mondo dell’artista e vede la natura, vede lo stormire del vento, vede quello che non c’è. «E’ proprio quello che voglio! – spiega Infante – Quando dipingo vivo uno stato di coscienza neutro, un momento di introspezione nel corso del quale possono accadere tante cose».
E l’interesse del pubblico per il suo lavoro? «E’ davvero bello, – afferma – emozionante! Quando finisco una tela cerco di capire se sarà in grado di comunicare qualcosa a chi lo guarderà, se l’osservatore potrà entrare in relazione con l’immagine, connettersi con essa. Questa riflessione mi aiuta a “disconnettermi” a mia volta dal quadro. Sapere che qualcuno potrà amarlo quanto me mi aiuta a “lasciarlo andare” e mi dà la spinta per dedicarmi a un nuovo lavoro».
L’opera di Infante è in continuo movimento ed evoluzione, se prima le figure venivano rappresentate accanto a un oggetto – un pianoforte, una macchina, … – ora sono sole con se stesse, immerse in un personale “soliloquio”. Infante sente l’esigenza di continuare a crescere, di rinnovarsi. «Il lavoro di un artista non può attingere a lungo alle stesse immagini, diventerebbe troppo meccanico. – afferma – Penso che una delle cose che rende bella l’Arte sia il fatto che per l’artista ogni nuovo lavoro è fresco, una possibilità di rinnovare la propria percezione e intuizione del mondo. E questo è quello che cerco di fare ogni volta che dipingo».
Infante, grato alla galleria di Sofia Macchi per averlo scoperto a New York e avere portato il suo lavoro a Varese, ma anche in giro per il mondo, è convinto che in Europa gli artisti abbiano una maggior considerazione proprio per la tradizione e la cultura delle nostre terre. «Sembra che la gente abbia una migliore disposizione nei riguardi dell’artista. – sostiene – Questo non accade in Sud America e neppure a New York. In Sud America l’artista viene considerato un pò un hippie. A New York … dipende da quanti soldi riesci a fare!».
E mentre Infante visita l’Italia per respirarne l’atmosfera artistica, a Punto sull’Arte i suoi dipinti dialogano con i bronzetti di Nielsen.
Johannes Nielsen sta lavorando lontano, in Cina.
La curatrice di questa mostra Alessandra Redaelli spiega che si tratta di un artista storico della galleria, «che porta delle opere nuove che segnano un cambiamento nella sua iconografia. Lui rimane fedele alla figura umana, – afferma la curatrice – però mentre in passato sceglieva uno stile più “giacomettiano”, dove la figura umana, presa nella sua interezza, era molto più scarnificata e stilizzata, ora ha fatto quello che io ritengo un grande salto di qualità, perché la figura è diventata improvvisamente quello che rappresenta nella scultura contemporanea: l’immagine dell’anima».
«Il corpo è stato ripensato attraverso un’interessante scomposizione della forma. Non è più la posizione del corpo che ci interessa, ma come esso si disgrega e si riaggrega. Ci sono figure alle quali sembrano mancare dei pezzi di materia, come cancellati da una gomma. Figure composte da somme di piccoli solidi. Figure dimezzate e poi ricomposte non dalla parte giusta, bensì spalla a spalla. Quindi un gioco estrememente elegante e interessante dal punto di vista concettuale, che è diventato una ricerca sulla nostra identità frammentaria».
«Quello realizzato a Punto sull’Arte – conclude Redaelli – è un percorso in cui gli artisti sono stati volutamente messi a confronto. Un percorso tra bidimensionalità e tridimensionalità, tra pittura e bronzo. Il pittore è più emozionale, più concettuale lo scultore.
Un percorso affascinante».
“Soliloquio” di Federico Infante e Johannes Nielsen
fino al 17 novembre
a cura di Alessandra Redaelli
Galleria PUNTO SULL’ARTE
Viale Sant’Antonio, Varese, 0332 320990
info@puntosullarte.it
Orari: martedì – sabato 10/13 e 15/19, domenica 15-19 (chiuso 1 Novembre)
Chiara Ambrosioni