vista di schiena
Realizzato nel 1902, in concomitanza con l'esposizione dedicata a Ludwig van Beethoven, ed esposto alla XIV mostra della Secessione Viennese, il Fregio di Beethoven rappresenta la felice trasposizione pittorica della Nona sinfonia del compositore e pianista tedesco, ispirata a un'interpretazione che ne diede Richard Wagner nel 1846. È qui che Wagner aveva «formulato l'idea di base secondo la quale solo l'arte e la poesia sono in grado di condurre l'umanità verso una vita migliore, nell'amore e nella libertà».
In questo capolavoro di fin de siècle, articolato su tre pareti, Klimt effigia la lotta dell'umanità contro le forze del male che culmina nella conquista della felicità assoluta nel regno della poesia e delle arti. Nella parte di sinistra delle figure femminili stilizzate – memori delle silhouette allungate e sognanti di Jan Toorop – si librano dolcemente nello spazio, allegoria della felicità che muove l'esistenza umana, mentre in quella di destra il movimento ondoso di queste sirene si arresta davanti alla figura del Cavaliere dall'armatura dorata, accompagnato dalle personificazioni dell'Ambizione e della Compassione. Inginocchiate davanti a lui delle figure sofferenti, allegoria dell'umanità dolente che rivolge le proprie preghiere allo scintillante eroe. La seconda parte, riccamente decorata, presenta le forze oscure che ostacolano la felicità dell'uomo: intorno al mostro-gorilla Tifeo gravitano infatti tre creature diaboliche, le Gorgoni, e le personificazioni sinistre della Malattia, della Pazzia e della Morte. L'ultima parte del fregio, stilisticamente più vicina alla prima, celebra invece il congiungimento del cavaliere con la felicità e l'amore. Il romantico abbraccio, protetto da un'aurea campana, è assistito da un corteo di fanciulle e da una manto di piccoli fiori.
Questo universo femmineo, carico di sensualità ed
vista di fronte
erotismo, celebra la donna nei suoi molteplici aspetti di madre, amante e femme fatale. Una figura ambigua – madre amorevole e distruttrice – doppio volto dell'archetipo materno che la psicoanalisi junghiana ha proiettato al centro dell'inconscio collettivo. In questo mondo uterino, punteggiato di elementi spiraliformi, cerchi e triangoli fluttuanti, di ondine malefiche, bisce d'acqua e celestiali sirene, il pittore esalta la superiorità del principio femminile. Lo stesso Rodin, ospite a Vienna durante la XIV mostra della Secessione, non poté non ammirare questo capolavoro, e durante una spensierata "merenda" al Prater con Klimt si chinò verso di lui affermando: «non ho mai provato tanta emozione. Il suo Fregio di Beethoven così disperato e felice; la vostra indimenticabile mostra, dove sembra di essere in un tempio; e poi questo giardino, queste donne, questa musica! E tutta questa gioia fanciullesca. Ma che cos'è?». È l'Austria rispose semplicemente Klimt.
L'impareggiabile Maestro è riuscito a rendere eterne le donne viennesi: le ha intrappolate e ridotte in semplici linee di contorno tracciate a gesso, matita o punta d'argento su carta da pacchi o carta giapponese, talvolta con l'aggiunta della matita colorata rossa o blu. Immerse in una sorta di liquido amniotico e in una profusione di ornamenti, le figure mostrano corpi esili o abbondanti, lineamenti angelici o spigolosi, masse di capelli tentacolari e fluttuanti. Un vibrante colloquio tra Eros e Thanatos, stilizzazione e astrazione che, assieme al rapimento estatico dei nudi, «conferisce ai disegni qualcosa di fragile e metafisico». Non c'è felicità senza arte, sembra sussurrare questo eterno paradiso klimtiano.
Spazio Oberdan
Viale Vittorio Veneto 2, Milano
Fino al 6 maggio 2012
Orari: martedì e giovedì dalle 10.00 alle 22.00; mercoledì, venerdì, sabato, domenica dalle 10.00 alle 19.30
chiuso il lunedì