I cartoni, i tombini, le polaroid, gli specchi, i plexiglass, la faesite e le tele cucite. Paolo Masi ha 85 anni ed è un ragazzo in continua ricerca. Il viaggio, gli incontri, la scoperta sono la cifra stilistica del suo lavoro, il fulcro attorno al quale si snoda tutta l’avventura della sua arte.

Dal 6 maggio al 16 settembre il Museo MA*GA di Gallarate ospita l’antologica di Paolo Masi dal titolo “Doppio spazio”.

Il progetto, fortemente voluto dalla direttrice Emma Zanella e curato dal critico d’arte Lorenzo Bruni in stretta collaborazione con il MA*GA e con la galleria fiorentina di Simone Frittelli, offre una lettura della ricerca affrontata dall’artista dalla fine degli anni ’50 a oggi, proponendo opere che rappresentano i passaggi chiave della carriera dell’artista che ha affrontato, decennio dopo decennio, i limiti e le potenzialità dell’oggetto quadro, della pittura astratta e dell’arte come atto politico. Non è semplicemente un’antologica, ma è un artista che lavora su se stesso. Non una mostra cronologica, ma un percorso emozionale.

L’aspetto più sorprendente di questa esposizione è l’intervento, sia nell’allestimento che nel corso dell’inaugurazione, del suo protagonista, Paolo Masi.

Al pubblico del Maga racconta quando una volta, in officina, il suo meccanico gli chiese: “Masi, ma voi… quando lavorate?” Risate. Poi l’artista fiorentino racconta come il lavoro sia in realtà ovunque, in aeroporto, in stazione, in una città. Guardare le persone, incontrarle, conoscerle, questo è essenziale per la mia ricerca artistica. Non potrei stare chiuso in uno studio a dipingere e basta, ho bisogno del mondo e della sua vita.”

Poi, certamente, il momento dello studio arriva anche per Masi e qui lo spirito è sempre quello dello sperimentatore: “Ho provato ad accostare due specchi in un profilato di alluminio per vedere i fili di luce e questo… ed ecco cosa è venuto. Sono rimasto meravigliato e l’ho portato perchè mi piacerebbe che vi meravigliaste anche voi.”

E’ il senso della meraviglia, dello stupore, dello scoprire e dello sperimentare ancora che accompagna Masi nel portare alla luce alcune intuizioni, nel mettersi a cavallo tra pittura e scultura. La libertà, di azione, di pensiero, la libertà di osare e anche quella di dire di no sono sempre stati un faro nell’opera dell’artista.

 

Paolo Masi, opera tattile presentata alla Biennale di Venezia del 1978

Nella Biennale di Venezia del 1978 Masi ricorda di aver rifiutato di partecipare a un’installazione collettiva proprio perchè distante dal proprio sentire e di aver voluto presentare invece un’opera che rappresentasse veramente se stesso, la propria visione. “La pittura non andava per la maggiore, ma io ho voluto lo stesso presentare questo insieme di colore, geometria e corde.”

Vi invito a essere liberi di guardare le opere in mostra con la stessa libertà e di avere le vostre sensazioni, scegliendo la vostra libera interpretazione.”

Negli anni Settanta Masi acquistò la prima Polaroid a New York e lì diede inizio a un percorso che lo ha portato anche nei giorni scorsi a fotografare Gallarate, realizzando un’opera oggi in mostra al MA*GA. La griglia per terra, un pezzo di asfalto, un tombino, l’impronta di una scarpa: le tracce del vivere sono sempre state nell’interesse di Masi. Su un’opera in esposizione al MA*GA l’artista ha anche lasciato il segno del proprio passaggio materiale, camminandovi sopra con una scarpa.

Un artista on the road, che si racconta senza filtri: “Ho sofferto, ho vissuto, ho anche dormito per strada. Forse i tombini (soggetti di molte delle sue polaroid) sono anche il risultato di questo.”

Legati al tema della strada ci sono anche due quadri del 1962. Qui, come una sinestesia, l’opera intende riprodurre con il linguaggio visivo il suono del rombo di una moto. Non su tela, ma su faesite, materiale durissimo utilizzato per imprimere segni netti e secchi. Altro materiale molto caro alla ricerca di Paolo Masi sono i cartoni: sui cartoni dipinge e su questi realizza anche dei “timbri” da utilizzare sulle opere in plexiglass.

Di plexiglass è il cubo “Trasparenze”, davanti a cui l’artista fiorentino racconta l’importanza dello spazio interno e dello spazio esterno, l’intervento del visitatore che può interagire con l’opera girandole intorno. Non ci sono segreti, Paolo Masi racconta tutti gli aspetti del mestiere con la naturalezza di un ragazzo alla scoperta del mondo. La visione della realtà è però quella di chi ha vissuto e ha attraversato la vita in tutte le sue pieghe.

“Ho imparato a dire di no. E questo è molto importante. Durante la guerra i tedeschi mi volevano fucilare ma io scappai e grazie al “No” ho seguitato a vivere. Negli anni Settanta l’arte era tutta filosofia e ideologia, mentre la pittura era fuori moda. A me interessava invece tornare alla manualità. E così ho fatto. Ho detto No. Quando ti senti libero di fare quello che ti pare accadono cose impreviste. Per vivere davvero è importante non aver paura di innamorarsi di quello che tu senti dentro e avere il coraggio di proporsi. Poi le cose accadono”.

Paolo Masi con la moglie

Se io sono un artista, siamo tutti artisti. Io sono solo un uomo che vuole comunicare qualcosa e su quella cosa mette tutta la sua esperienza, che non è stata semplice, non è stata facile, ma è stata importante.”

Alessia Zaccari

 

PAOLO MASI. Doppio spazio

Gallarate, Museo MA*GA e Aeroporto di Milano Malpensa

6 Maggio – 16 Settembre 2018

www.museomaga.it

 

BIOGRAFIA

Paolo Masi è nato nel 1933 a Firenze, dove vive e lavora. La sua attività è strettamente legata a una continua sperimentazione sul modo di operare e trasformare i materiali.

Alla prima personale nel 1960 alla Strozzina a Firenze, seguono numerose mostre nelle principali gallerie italiane ed europee: Numero (Firenze), Cenobio (Milano), L’Aquilone (Firenze), Schema (Firenze), Christian Stein (Torino), Lydia Megert (Berna), d+c Mueller Roth (Stoccarda), Thomas Keller (Monaco), Primo Piano (Roma), La Polena (Genova), Ariete (Milano), La Piramide (Firenze), Centro d’Arte Spaziotempo (Firenze), Galleria Studio G7 (Bologna), Fondazione Mudima (Milano).

Dopo il confronto con le sperimentazioni postinformali e la ricerca nell’ambito dell’astrazione e del Neoconcretismo, si avvicina alle contestuali esperienze analitico-riduttive, scomponendo e riorganizzando sul pavimento e contro le pareti aste di alluminio, specchi, fili o piccole stecche di plexiglas colorato che estendono anche alla terza dimensione la ritmicità dello “spazio-colore”. Ritorna alla bidimensionalità attraverso il progetto Rilevamenti esterni-conferme interne (1974-76), sviluppato all’esterno con foto Polaroid di tombini, muri e pavimenti iniziate nel 1974 a New York e, contemporaneamente, all’interno dello studio con le Tessiture (tela grezza cucita) e i Cartoni da imballaggio, dove utilizza per la prima volta adesivi trasparenti e coprenti, facendo emergere la struttura interna del materiale.

Parallelamente alla pratica pittorica, questa indagine ha portato Paolo Masi dalla fine degli anni ’50 a impegnarsi anche in una intensa attività di animatore del rinnovo culturale realizzando mostre all’interno delle Case del Popolo, in gallerie private e spazi pubblici, e successivamente a fondare collettivi artistici e spazi d’arte nella sua città, tra cui L’Aquilone, F-Uno, Zona negli anni Settanta, e nel 1998 Base / Progetti per l’arte, che festeggia quest’anno i 20 anni di attività.

Da ricordare inoltre le partecipazioni a “I colori della pittura. Una situazione europea” (a cura di Italo Mussa, Roma 1976), alla XXXVIII Biennale di Venezia (1978); alla XI Quadriennale romana (1986); alle mostre “Kunstlerbücher” di Francoforte e “Erweitert Photographie Wiener Secession” di Vienna (1980); alla mostra parigina “Livres d’artistes” (Centre Georges Pompidou, Parigi, 1985), ad “Arte in Toscana 1945-2000” (Palazzo Strozzi, Firenze, Palazzo Fabroni, Pistoia 2002), a “Pittura Analitica. I percorsi italiani 1970-1980” (Museo della Permanente, Milano 2007) e alla mostra “Alla Maniera d’Oggi. Base a Firenze” (Chiostro di San Marco, Firenze 2010); le personali a Bludenz, al Museo d’Arte Contemporanea di Lissone, alla Fondazione Mudima di Milano; a “La Torre di Babele” (Ex fabbrica Lucchesi, Prato 2016), a “Versus. La sfida dell’artista al suo modello in un secolo di fotografia e disegno” (Galleria civica, Modena 2016), a “Pittura Analitica. Ieri e oggi” (Mazzoleni Art, Londra – Torino 2017).

Nel 2013, in occasione della mostra allestita presso Frittelli Arte Contemporanea a Firenze, viene pubblicata la prima monografia complessiva sull’artista a cura di Flaminio Gualdoni, “Paolo Masi. La responsabilità dell’occhio” edito da Gli Ori.

Nel 2014 Masi presenta l’installazione Riflessioni Riflesse nel chiostro della Basilica di Sant’Ambrogio di Milano, nella Sala Albertini del Corriere della Sera, nel Cortile del Palazzo dell’Archiginnasio a Bologna (2015), in Piazza San Fedele a Milano (2016) e l’opera Camminate come figli della luce nella Chiesa di Sant’Eufemia a Verona (2016).

Opere storiche dell’artista si trovano nelle collezioni del Mart di Rovereto, del Museo Pecci di Prato, della Galleria d’Arte Moderna di Palazzo Pitti di Firenze, della Galleria d’Arte Moderna di Torino e del Museo Novecento di Firenze.