In un suo noto volume edito da Einaudi nel 1973 Ugo Mulas scriveva che la fotografia "sognata per lunghi anni dai suoi inventori come portatrice di verità" si era trasformata nel suo contrario: "proprio per la fiducia che chiunque ripone nella sua meccanica imparzialità, la fotografia si presta a fare da supporto alle operazioni più ambigue". In una società dove le immagini vengono moltiplicate dai mass media e dove si va perdendo l'aderenza alla realtà nella sua fattualità, la riflessione sull'immagine e sulla sua presunta obiettività diventa un filo rosso che percorre le ricerche artistiche in diverse direzioni: sia in un ambito più strettamente fotografico, sia in quella tendenza a superare i confini tra le discipline – ma soprattutto tra arte e scorrere della vita – che porta gli artisti a utilizzare la fotografia e il video come traccia di azioni o performance o come strumento di racconto e di analisi.
Se l'obiettivo della macchina fotografica dimostra di essere meno obiettivo di quanto la sua definizione farebbe pensare, per cercare di cogliere la verità della realtà contemporanea il fotografo deve indagarne ogni singolo momento, privilegiando all'unico scatto, al "momento significativo" della scuola di Cartier-Bresson, la sequenza e la serie: Massimo Vitali fissa così diversi instanti della simulazione fatta dalla polizia nel marzo del 1972 per chiarire le dinamiche della caduta di Giuseppe Pinelli da una finestra della questura; Ugo Mulas restituisce attraverso un reportage il Festival del Nouveau Réalisme che invase il centro di Milano nel novembre del 1970; Carla Cerati e Gianni Berengo Gardin, denunciano, con immagini di grande intensità, le condizioni disumane in cui vivono i malati nei manicomi in un volume curato dai coniugi Basaglia. La fotografia è strumento di denuncia, di testimonianza e di memoria
(bottiglie di acqua minerale), 1975
del clima del periodo, registrandone le tensioni sociali e politiche: dai cortei studenteschi ai momenti di aggregazione giovanile, dalle proteste operaie alle stragi e ai processi.
La fotografia però è in questi anni anche riflessione su se stessa, sul proprio linguaggio e sui propri strumenti espressivi come emerge già dal titolo dell'importante serie delle Verifiche di Ugo Mulas, esposta nella sua completezza in mostra, o dalle ricerche di matrice concettuale di Franco Vimercati e Adriano Altamira. Se il primo nelle sue serie di scatti di oggetti quotidiani (bottiglie, piastrelle…) rinuncia a tutti quegli "elementi che per convenzione fanno bella una fotografia", Altamira individua "aree di coincidenza" tra immagini lontane, indagando sui concetti di unicità e somiglianza, di archivio e di museo, che ancora oggi, nella società della virtualità e della rete, si dimostrano stimolo di riflessione quanto mai attuale.