Dal bronzo al ferro, dal poliestere alla vetroresina, fino alla pietra e al marmo, in particolare quello rosa di cui Francesco Somaini (Lomazzo, 1926-2005) è stato un grande estimatore e fautore. Nella molteplicità delle sue scelte lo scultore comasco ha rivelato tutte le possibilità di questi materiali, la loro innata poesia interiore. Un percorso eclettico, iniziato alla fine degli anni Quaranta, quando l'elemento naturalistico e quello geometrizzante – retaggio della tradizione cubista – hanno dato forma a crani di animali stilizzati legati al tema del disfacimento e della morte, motivo centrale del suo iter artistico. Seguono, negli anni Cinquanta, ammassi metallici e figure antropomorfe, ora lisce, ora scabre, in cui si coagula il germe dell'Informale e in cui prende piede quella apertura sempre più insistente verso il formato monumentale, «nella convinzione che la scultura debba svolgere un ruolo di riqualificazione del tessuto architettonico urbano». Totem e stele di bronzo sembrano rivelare quella mai assopita lotta tra eros e thanatos che attanaglia l'artista fin dai suoi esordi.
Flagellata, la materia si scioglie, mostra frammenti di spine vertebrali e casse toraciche, scarnificazioni e impronte di "morte".
Negli anni Ottanta, la svolta: Somaini abbandona quasi totalmente la durezza del bronzo e del ferro e si lascia conquistare dalla porosità del marmo e della pietra, dalla malleabilità della cellulosa di cotone e del poliestere. Le forme perdono l'iniziale asperità e diventano sempre più avvolgenti, sinuose, come in Antropoammonite I (1975-77), ottenuta dalla modellazione – attraverso un getto di sabbia ad aria compressa – di un blocco di marmo rosa del Portogallo. Proprio come le conchiglie fossili degli ammoniti, le sue sculture si presentano come concrezioni marmoree dalle superfici leggermente increspate. Blocchi sferoidali, in bilico tra involucri ed elementi organici, che costituiranno il preludio alle future opere degli anni Novanta: è in questo periodo che i suoi organismi plastici assumono le forme di fluttuanti nudi femminili, come nella Fortunia Vincitrice (1997-2000) dove il corpo di una donna sembra scaturire da un bozzolo di bronzo dorato. Scrive Enzo Caroli nel 1983: «la ricerca di Somaini è talmente nuova e sconvolgente da imporre a chi si accinge anche semplicemente a definirla, la rinunzia ad ogni criterio, schema, principio indispensabile o utile a qualificare le esperienze del passato o del presente». Una ricerca così innovativa e camaleontica da impedire qualsiasi etichetta o inquadramento.