Naturale o artificiale la luce, da sempre, ha rappresentato per gli artisti in particlare, uno degli elementi più importanti nella creazione di un’opera dove determina l’organicità della scena. Ma la grande e rivoluzionaria novità è arrivata nel 1913 grazie a George Claude e alla sua straordinaria scoperta: il neon al quale, a Varsavia è stato dedicato un museo. Ma di questo ne parleremo più tardi. Tornando all’inventore, il chimico francese scoprì infatti che questo gas, se attraversato da una scarica elettrica, si illuminava, diventava fluorescente assumendo due colorazioni differenti: il blu e il rosso. Tubi luminosi che cambiarono il volto notturno di tante città europee fino a quelle americane. Insegne che fiornirono ovunque, rallegrando anche gli angoli più nascosti di quartieri periferici dal carattere austero.
Neon, un linguaggio di luce per creativi e una passione per altri, come Ilona Karwinska, fotografa, che nel 2005 a Varsavia fondò un museo dedicato a questo “fossile artificiale” inizialmente concentrato sulla raccolta di documenti e fotografie. I caratteristici fili luminosi, in Polonia, rappresentano una vera e propria cultura fin dall’epoca della Guerra Fredda, quando il governo decise di utilizzarli in sostituzione della cartellonistica.
Le nuove indicazioni, attraverso scritte e simboli di luce realizzate con grafiche accattivanti, font strategici e colori sgargianti, accompagnavano in negozi, uffici e strade, incosapevoli che un giorno sarebbero diventate piccole opere d’arte luminose.
Il “Neon Muzen”, la più grande esposizione in Europa dedicata alle insegne, ha sede nella Soho Factory, all’interno di un’ex fabbrica di motociclette nel quartiere Praga, accanto a gallerie d’ arte contemporanea, uffici di architetti e web agency.
La sua storia ha avuto inizio, come si diceva, quindici anni anni fa dall’idea della fotografa inglese che tornando in Polonia (sua terra natale) nel corso di un viaggio si innamora delle vecchie scritte al neon di epoca sovietica, ancora posizionate in alcuni punti della città. Di una in particolare ne rimane affascinata: il neon “Berlin” che subito immortala con la sua macchina fotografica. Sarà il primo pezzo della collezione che nel 2012, con l’aiuto del compagno David Hill, darà vita al museo .
Come abbiamo visto, il neon, nel corso dei primi anni della sua esistenza, fu utilizzato in particolare come mezzo di comunicazione pubblicitaria. Il suo valore artistico inizierà più tardi. Negli anni ‘30 tra i pochi creativi che tentarono un approccio con il nuovo materiale, si ricorda Zdenek Pesanek, che utilizzò
tubi al neon all’interno di alcune sue opere. Circa vent’anni più tardi Lucio Fontana, fondatore dello spazialismo creò, per la IX triennale di Milano, una struttura interamente realizzata con tubi al neon.
Nella seconda metà del ventesimo secolo, questo materiale, ha rappresentato spunti per la ricerca artistica e non solo. E’ stato ispirazione, e ancora lo è, di molti creativi, maestri del passato e contemporanei che creano straordinarie sculture di luce. Anche nella nostra provincia di Varese è possibile ammirare un’importante collezione permanente di “Neon Art”. A Villa Panza di Biumo sono ospitate opere e installazioni di un noto artista americano, Dan Flavin, autore anche degli affreschi luminosi della Chiesa Rossa di Milano.
E. Farioli