Continua con successo Insight Foto Festival, evento di APS Gattabuia, diretto e curato da Daniela Domestici e Chiara Del Sordo in collaborazione, per la direzione artistica, con Laura Davì.
Molto più di un festival ma una vera manifestazione culturale diffusa in tutta la città, in otto le sedi che fino a domenica 30 maggio 2021 ospitano mostre, libri d’artista, proiezioni, talk, performance artistiche e visite guidate.
ll macro tema di Insight, declinato in moltissime varianti, è l’identità. Ogni esposizione ne sviluppa una di queste. La fotografia che viene presentata è una fotografia di ricerca che parla di sé, spesso in modo autobiografico. Si tratta spesso di progetti work in progress, ancora incompleti e quindi inediti. Per la maggior parte si tratta di artisti giovani ed emergenti che provengono da ogni parte d’Italia e trattano la fotografia in modo contemporaneo: diversi sguardi, linguaggi, temi e contaminazioni con altre arti che si snodano intorno al filo conduttore.
Daniela Domestici, ci parla delle mostre ospitate a Villa Mirabello, Sala Veratti e Sala Nicolini. “Per Sala Veratti il discorso si snoda intorno all’affresco della Natività e quindi i tre autori parlano di nascita, di morte, di maternità mancata. Il titolo è “Singolare universale” purché si parte da temi personali per arrivare a temi universali nei quali poi tutti ci possiamo ritrovare. Le opere dialogano fra di loro ma anche con il contesto. Ogni progetto sviluppa il tema in modo molto diverso.
Monica Cattani con “Mondo imperfetto” parte da un desiderio di superare un lutto che l’ha colpita che esterna attraverso immagini cupe che si alternano ad immagini colorate. Rappresenta la coraggiosa ricerca della strada persa, lo sforzo di riannodare un filo spezzato attraverso le piccole cose che se nei momenti più bui ci fanno sopravvivere . Giovanni Mantovani ha sviluppato un progetto concettuale intorno alla “Vite”, titolo del suo lavoro. Egli ha raccolto viti di diverse dimensioni, le ha poste sullo stesso cartoncino dipinto di bianco solcato da segni casuali tracciati da un taglierino e la ha fotografate chiedendosi come sopravvivano gli oggetti che le viti tenevano insieme. Il progetto è work-in-progress e l’obiettivo finale è di raggiungere il peso che l’autore aveva alla sua nascita, 2650 grammi, per poi fondere le viti in una scultura.
Marta Viola con “Cotton Candy” ha fatto un’indagine su cosa accade ai corpi che cambiano, alla loro sessualità e al modo di relazionarsi intimamente con se stessi e con un’altra persona. Storie di corpi di donne senza nome, di sessualità interrotte che attraverso modificazioni fisiche invadenti e precoci sono costretti a rivedere l’esperienza di sé. Oltre alle fotografie che rappresentano strumenti chirurgici, sono presenti oggetti chirurgici reali, un autoritratto e fotografie polaroid in cui l’artista ha fotografato altre donne – spostando così l’attenzione dal personale all’universale – che sono una parte di un’indagine più ampia rivolta al contesto socio culturale cui il genere femminile si trova a vivere.
In Sala Nicolini si parla di “Metamorfosi” perché si tratta di una ricerca di sé – nel caso Diana del Franco personale, nel caso di Antonio Miucci per tramite di un amico – attraverso la trasformazione, il travestimento. Le opere mostrano come ci possa essere una convivenza di diverse aspetti all’interno di uno stesso individuo: maschile e femminile, realtà e finzione, pubblico e privato si confondono in una continua metamorfosi.
A Villa Mirabello Giacomo Infantino ha voluto dialogare con il contesto espositivo: il “Cerchio di perpetua occultazione” – titolo della mostra – in astronomia delimita quelle stelle che restano permanentemente occultate sotto l’orizzonte, così come ci sono stelle in perpetua apparizione per cui l’artista vuole riflettere e porsi in dialogo con le opere custodite al suo interno e all’occultamento che per secoli le ha rese invisibili. Il lucernario, posto al centro della sala, diviene chiave simbolica del rapporto, come per gli antichi, di un santuario contemporaneo. Egli parla del territorio della provincia di Varese in maniera onirica e cupa andando controcorrente alla rappresentazione del paesaggio solare e vacanziero che invece racconta in maniera cupa. In quasi tutte la su fotografie compare la figura umana che però non è riconoscibile e caratterizzata. Difficilmente i volti sono definiti e le figure sono archetipiche anche se rivisitate: c’è un tentativo di trasporre la realtà verso il mitologico e l’ancestrale e anche il territorio reale diventa astratto e oscuro. Infantino ha fatto lo stesso tipo di ricerca anche nel Sud Italia e nella Europa dell’est, luoghi dove ha trovato analogie e elementi caratterizzanti che sono gli stessi del nostro territorio perché forse si trovano dentro di noi. L’artista coniuga fotografia, video e audio in un discorso tra terreno e celeste”.
Cristina Pesaro