Assistere passivamente alla perpetrazione di un delitto che si avrebbe la possibilità di impedire è CONNIVENZA.
L'11 luglio 1995, le truppe del generale Ratko Mladic, affiancate dai paramilitari di Arkan, deportarono e uccisero l'intera popolazione maschile, sotto lo sguardo complice del contingente olandese di pace che non intervenne, come invece sarebbe stato suo dovere, rendendosi in tal modo complice di quell'eccidio.
Ottomila uomini, ragazzi, bambini, della comunità musulmana di Srebrenica, furono buttati in oltre settanta fosse comuni, lasciando la città abitata da orfane e vedove che da quel giorno si cinsero il capo con un foulard nero in segno di lutto.
Nella mostra in corso presso la Galleria San Fedele, con il titolo "I demoni", a cura di Andrea Dall'Asta S.I. e Manuela Gandini, Ivo Saglietti (Tolone 1948), fotoreporter di agenzie francesi e americane, presente durante l'assedio bosniaco, compie una scelta precisa, nel proporre, dopo oltre dieci anni, foto che ritraggono l'infinità e la persistenza nel tempo di un dolore collettivo, vissuto con dolente dignità dai sopravvissuti.
La permanenza del dolore è raffigurata da Ivo Saglietti con campi lunghissimi dove, fra il succedersi di cippi che percorrono all'infinito lo spazio aperto, la presenza di due bambini pare l'unico segno di speranza per un futuro privo di atrocità, in eguale misura all'interno di un enorme capannone, file di bare perfettamente allineate testimoniano la tragicità di quell'evento, mentre due donne in primo piano vivono, chine su se stesse, la loro sofferenza.
Durante l'inaugurazione della mostra, abbiamo avuto l'opportunità di rivolgere alcune domande a Ivo Saglietti.
"Le foto della mostra, sono in bianco e nero, quali i motivi che fanno decidere a un fotografo di rappresentare un avvenimento in bianco e nero piuttosto che a colori?"
"Io appartengo alla generazione che ha scoperto la fotografia attraverso Cartier Bresson, Robert Frank, Eugene Smith, solo per citare alcuni nomi noti e oltretutto ho la convinzione che la fotografia sia bianco e nero, è un vecchio discorso, il nero colore della disperazione, il bianco della speranza, questi due colori che si fondono, danno l'idea del mondo".
"Il suo lavoro l'ha poetata in luoghi dove guerra e violenza facevano parte della quotidianità, in simili situazioni un fotografo come riesce s stabilire quale sia la giusta distanza fra sé e ciò che intende raffigurare?"
"Sono anni che lavoro con un solo obiettivo che è il 35 millimetri, ho due Lieca e ho anche un 28 e un 50 che uso molto meno, io vedo come se avessi un 35 millimetri negli occhi, so a priori come mettere a fuoco e fin dove posso arrivare".
"Lei prima di arrivare alla fotografia è stato operatore cinematografico, come è avvenuto il passaggio dalle immagini in movimento all'immagine fissa?"
"Si, sono stato operatore di macchina, ho fatto anche direzione della fotografia; mi sono innamorato di un fotografo che era Eugene Smith dopo avere visto in un volume il lavoro che aveva fatto su un'isola giapponese dove la contaminazione da mercurio aveva prodotto delle malformazioni sulla popolazione e sfogliando quel libro mi sono accorto che la fotografia, pur essendo ferma e immobile, era in grado di procurarmi emozioni straordinarie che il cinema non riusciva a darmi, forse perché la mia esperienza cinematografica si limitava al cinema industriale, al documentario e alla pubblicità.
Intendiamoci, ho amato molto il cinema e mi sarebbe piaciuto fare cinema d'autore, ma forse per me non era il momento giusto, comunque un regista che ho amato molto per la sua visione del mondo e che ritengo un maestro è stato Angelopoulos, infondo questa mostra potrebbe essere un piano sequenza".
"Qual è stato fra gli eventi drammatici che ha vissuto nello svolgere la sua professione, quello che l'ha segnata profondamente?"
"Un lavoro che mi ha profondamente piegato, è un lavoro che ho fatto in Tanzania sull'HIV, fotografavo persone corrose dal male che capitava di non rivedere il giorno dopo perché erano morte, avevo quasi deciso di smettere di fotografare…"
Ivo Saglietti – "I demoni"
Milano, Galleria San Fedele, Via Hoepli 3a/b
Fino al 5 maggio
Orari: da martedì a sabato, dalle 16.00 alle 19; chiuso i festivi