Tenui rosa pastello, aggregazioni violacee, i colori fermi e stantii di un mondo chiuso e rinchiuso; e su tutti il tono medio, grigio su grigio, sebbene irrorato da innumerevoli variazioni, declinate verso l'azzurro.
E' il mondo pittorico di Jean Rustin, la sua "rivelazione pittorica" come recita il titolo di questa porzione di mostra allestita al Museo Bodini di Gemonio e che unitamente a quella poco più ampia presentata al Castello di San Giorgio a Legnano, ne fanno improvvisamente un protagonista, scomodo, inatteso, quasi ingombrante cingendo da sud a nord l'orizzonte espositivo della Provincia.
E' la pittura che ha nobili padri: Velasquez, Goya, Manet; e più su e vicino a noi Sutherland, Bacon, naturalmente, forse Giacometti, sicuramente Varlin, e Lucian Freud.
La "pittura nera" di Goya per Rustin è rivelata nella luce, rischiarata e riscattata, senza goticismi e stregonerie iberiche da una luce che è spesso algida, da una secchezza e nettezza delle affermazioni del malessere, del disagio, dell'alterità che afferrano ancora più ineludibili.
E come Varlin, come Bacon, come Freud, il corpo è impudicamente ostentato. Anni fa una sua mostra venne duramente censurata per questioni pornografiche. Genitali violacei, atti sessuali animaleschi, godimenti senza gioia, nudità oscenamente lasciate alla vista.
Ma se lettura in chiave morale ci deve essere, non è certo la pruderie quella può servire a comprendere tanta arte trascorsa e nemmeno quella di questo maestro della figurazione francese contemporanea, che nel suo studio di Batignoles, da anni, rivive sulla tela e sulla carta rimandi ad esperienze dolorose, concrezioni del malessere umano, unitamente a propri ricordi di guerra.
"Non sono io che ho scelto di esprimere questo dolore, è questo dolore che mi ha scelto" ha detto Rustin. Nessuna ostentazione, nessuna lascivia dell'autoerotismo, anche se alcuni modelli iconografici fanno parte della grande tradizione espressionista tedesca o più ancora di Klimt o di Schiele.
Solo il disperato soliloquio gestuale, sensoriale di anime perse anche nei gesti, in ambienti senza fuga che non sia quella offerta loro dallo spazio di chi sta all'esterno del quadro-gabbia-cella e li osserva e potrebbe forse riscattarli con dolcezza.
Il tutto immerso in una pittura che non brancola nello sfacelo, che non gronda visionarietà come quella di Bacon, per dire, anche cromatica, ma che è a volte algidamente pura, cartesiana, assiale, con una essenzialità che a tratti ricorda quella aurea di Piero dell Francesca.