"Paolo Borghi sembra rappresentare il continuum tra passato e presente e attraverso una sua autnomia creativa si pone, a mio avviso, sia a livello nazionale che internazionale, quale interprete di una concezione plastica allo stesso tempo sia antica e nuova, che trova nei simbolismi di una certa arte quale quella di Böcklin, Savinio e Magritte uno dei motivi ispiratori".
E' una delle conclusioni a cui giunge Giovanna Bernasconi, fresca dottoressa in storia dell'arte, con una tesi dedicata ad uno dei nostri migliori scultori, il malnatese Paolo Borghi , relatore l'illustre Luciano Caramel – folgorato, in sede di discussione, dalla presenza dell'artista e correlatore Francesco Tedeschi presso l'Università Cattolica di Milano. Un lavoro di scoperta, dice oggi, Giovanna, mossa all'atto conclusivo del suo percorso di studi inzialmente verso altre latitudini.
Era la tua prima scelta, la scultura di Borghi?
"Inizialmente ero più orientata, verso la pittura. Non mi sarebbe dispiaciuto portare avanti un lavoro, ad esempio su Bernardo Siciliano, di cui ho molto apprezzato una mostra che ho visto non molto tempo fa. Anche perché tutto sommato ha maggior predilezione per la pittura più che per la scultura. Il professor Caramel mi ha però spinto piuttosto ad indagare un artista del territorio e mi ha suggerito il nome di Borghi".
Lo conoscevi a fondo prima di intraprendere il lavoro?
"Deve essere sincera, non molto. Ho visitato i musei della provincia. Mi sono fatta delle idee su di lui. Uno scultore classico in un'epoca di arte astratta, per sintetizzare".
Come è stato l'approccio con lui?
"Si è mostrato da subito molto disponibile a farmi partecipe del suo ambiente lavorativo, dei suoi spazi, mostrandomi il suo studio e poi il grande capannone dove nasce parte della sua opere più monumentale. Mi ha portato nella fonderia milanese dove hanno origine i suo bronzi. Mi ha accompagnato aTrieste dove il suo galleristia gli ha allestito una recente mostra. E naturalmente si è lasciato intervistare più e più volte sul suo lavoro".
L'immagine che si ha di lui è di un artista schivo, riservato.
"Lo è in effetti. Ho avuto l'impressione che sia una persona in fondo molto solitaria, che sfugga la mondanità, molto concentrato sul proprio lavoro e che non ceda alle lusinghe di personaggi, anche importanti se non sono del tutto affidabili. Forse però così facendo non sfrutta appieno il grande potenziale. Non come artista ma commerciale, intendo".
Cosa hai inteso dimostrare con il tuo lavoro?
"Ho voluto avvicinarmi alla sua opera, non in maniera onnicomprensiva. Piuttosto guardando agli ultimi vent'anni evidenziare come tra i lavori degli anni Ottanta e quelli di oggi ci sia stata una evoluzione, uno scarto in avanti. Ho cercato di mettere in luce la sua volontà di cambiamento per superare una stasi che si era verificata nel suo lavoro. Attraverso il colore, per esempio. O il recupero del frammento di figura, del torso classico combinato, alogicamente, magrittianamente, con altri personaggi".
Nella tua tesi dedichi ampio spazio ai termini postmoderno e anacronismo. Come Borghi si colloca in questi ambiti?
"Perché reincarna, sia nelle tematiche che nelle tecniche, lo splendore della scultura classica rievocandone i miti, la bellezza dei volti che trascendono il reale. Tuttavia con un giusto livello di concettualizzazione giustificata oggi, con il gusto della citazione e dell'invenzione che, paradossalmente, sono decisamente anticlassiche, ironiche, destabilizzanti. Ma questa ormai è una chiave di lettura consolidata".
Ritieni che sia un artista soddisfatto di sé?
"Della sua arte assolutamente si. E' votato al suo lavoro, alla sua creatività. E alla strada che ha scelto. E non penso che "deraglierà" mai da questo indirizzo "classico", da questo percorso che ha sempre seguito".