Come ci suggerisce il titolo della sua mostra "Sotto il dolce effetto del caffè" decidiamo di fare quattro chiacchiere con l'artista Luca Dellantonio di fronte alle sue opere esposte al Colombo Caffè di Busto Arsizio. Nasce una conversazione di un paio di ore che fa scoprire lo spirito geniale di un artista poliedrico che vive l'arte come emozione e relazione.
Luca, partiamo dall'inizio: quando nasce la sua passione per l'arte?
"Fin da bambino amavo disegnare. Ho partecipato a diversi concorsi a Milano, sia di pittura che di poesia, qualificandomi praticamente sempre. Un aneddoto curioso: a undici anni mi hanno persino nominato cittadino onorario di Milano".
Poi da grande è arrivata l'Accademia?
"No, al liceo ho cominciato a coltivare molto anche l'amore per la musica, per la filosofia…e all'università ho scelto una facoltà scientifica per approfondire la mia passione per la natura che è sempre stata forte. Adoro i boschi, la montagna. Non avrei paura di ritrovarmi in un bosco di notte, anzi. Non a caso alcune mie opere si trovano appese in alcuni boschi di mia conoscenza. Mi piace tornare poi a trovarle e vedere come il tempo le ha 'foglizzate', come dico io, perchè si sono trasformate in foglie anch'esse e gli alberi fanno da perfetti supporti naturali".
Quando ritorna la pittura nella sua vita?
"Nel 1990-91. Il ritorno alla pittura è coinciso per me con il ritorno a casa, dopo alcuni viaggi e permanenza all'estero per studi. E da lì mi sono dedicato esclusivamente a questo. Ho avuto il piacere e la fortuna di essere tra gli ultimi allievi del maestro Enzo Pagani e in seguito di Gottardo Ortelli. Poi ho iniziato a frequentare a Milano l'ambiente dei navigli e di Brera. Ho frequentato le scuole del Castello e piano piano sono entrato in alcune gallerie, come Soloarte, con la quale ho esposto molto anche all'estero. Poi dal '98 ho iniziato a produrre una serie di cicli a tema per ogni mostra: per la gioielleria Armani sono diventato "pittore di cuori", poi sono arrivati i violini, gli alberi (2002) e infine gli arlecchini (2003/04). Ora alcune mie opere, i miei 'figlioli vagabondi', sono sparsi un po' nel mondo, in Spagna, New York e Canada".
Anche lei si considera un'anima vagabonda?
"Sicuramente amo viaggiare, ma poi a un certo punto diventa necessario anche il ritorno. Sono due dimensioni che sento ugualmente in modo profondo. In me c'è una forte nostalgia della Toscana lontana, che è la mia terra. In me scorre sangue senese e vivo davvero un esilio doloroso da quei luoghi. La cultura toscana fa parte di me: l'amore per la terra, il culto degli avi".
Quali altre tappe ha percorso prima di arrivare qui?
"Allora, nel 2004 mi sono dedicato prevalentemente alla fotografia, ho anche fatto mostre fotografiche, poi nel 2005 mi sono fermato e ho ripreso nel 2007 con l'arrivo dei miei amici allievi con i quali lavoro nella vecchia casa di Legnano. Essendo anche musicista negli ultimi due anni ho vissuto molto dentro questa dimensione e poi a ottobre 2008 ho avuto la richiesta per questa mostra".
Come si pone di fronte a una mostra da realizzare?
"Ho la fortuna di potermi dedicare esclusivamente a questo lavoro quindi produco molto e non rischio mai di trovarmi senza opere sufficienti da presentare. Magari ho in studio lavori datati ma che ritengo possano essere nuovamente attuali e adatti a una particolare esposizione. Le opere che decido di esporre sono sempre pensate appositamente per il luogo che le ospita, o meglio, per quella data situazione che si è venuta creare per cui il tale gallerista vuole le mie opere in quel luogo e in quel momento. Il fatto è che quel luogo e quel momento racchiudono al loro interno già altre categorie di significato. Questa, ad esempio, è una mostra da gustare, anche un po' in rosa…avevo l'idea delle signore che vanno a bersi il caffé,sento un po' una nostalgia per una società in rosa, leggera".
C'è uno spirito estremamente genuino e sincero in ciò che fa.
"Amo considerarmi una persona normale. Mi spaventano un po' gli 'impianti critici'. Io sono Luca che si offre al suo pubblico. Una mia opera potrebbe benissimo rappresentare me stesso sdraiato a terra. Le mie mostre voglio che siano dei puri momenti conviviali, che siano dialogo, relazione".
Le opere qui esposte sono realizzate per frammenti. Come sei approdato a questo metodo?
"Il frammento è recente e lo vivo come un momento di ordine da riportare sulla tela. Con questo metodo ho voluto innescare una dinamica con il pubblico: l'invito a ricomporre, a formare il quadro, a leggerlo secondo i propri gusti. Una visione frammentata invita ad una fruizione attiva, curiosa, ma soprattutto piacevole. E' una mostra da gustare questa, da assaporare in compagnia. Anche i materiali che uso, come le lacche, il silicone, non sono mai il fine del mio sperimentare, ma il mezzo attraverso cui attivo questo gioco del ricomporre".
Anche il frammento non vale per sé stesso, ma proviene da opere precedenti fatte a pezzetti e poi ricombinate. Quindi si può dire che questi lavori sono delle narrazioni temporali?
"E' esattamente così. L'opera diventa una stratificazione temporale. L'arte diventa tempo totale. Nel frammento è racchiuso non solo un tempo, ma anche una storia. Nel mettere insieme tutti questi pezzetti esce uno spaccato di me, sezionato nel tempo e nello spazio, e messo a disposizione del pubblico. In questo la mia arte è dialogo".
I suoi lavori sono molto diversi uno dall'altro. Dove cerca l'ispirazione?
"Non la cerco. L'ispirazione può nascere da situazioni particolari, ma anche molto quotidiane. Come musicista posso dire che il quadro a volte si compone come la traccia di una canzone, assemblando suggestioni, emozioni che ho vissuto, persone che ho conosciuto. Per alcuni amici e conoscenti che sono venuti a trovarmi qui in mostra ho realizzato alcune opere appositamente per loro, sono nate sull'emozione che mi hanno regalato. Finché questo accadrà credo che continuerò a fare dell'arte".