L'erede – Ha tracciato la linea portante della critica d'arte italiana Vittorio Sgarbi:il padre nobile Roberto Longhi, i discepoli tormentati Francesco Arcangeli e in parte Giovanni Testori, e poi l'erede ultimo, lui stesso, ca va sans dire. La lectio magistralis, la conferenza, la presentazione, come vogliamo chiamarla? – dedicata a Vittorio Tavernari si è risolta al solito in un one man show. Il condensato consueto di egotismo e generosità comunicativa, autoreferenzialità e superba cultura. Un piacere, comunque, raramente annoiante.
Tra parentesi – Tavernari. Ne ha parlato, anche di lui. Ma dopo aver aperto nell'ordine digressioni sull'universo femminile, il suo ruolo dittatoriale nella commissione toponomastica milanese, la riforma della scuola e della magistratura (con l'assessore Pintus in prima fila complice quasi involontario), i suoi maestri, il Guttuso stampellato dal Partito Comunista, l'Annigoni dimenticato dai manuali di storia dell'arte, gli "analfabeti" alla Bonito Oliva, gli inutili assessori alla cultura e via dicendo.
Languori – Il pubblico – mai vista Villa Recalcati così gremita – in ascolto senza battere ciglio. Interamente dalla sua parte. Sgarbi ha chiamato la città ha risposto. Un parterre de roi che ha riunito la nobiltà della cultura, a gran parte degli artisti varesini, ad un discreto pubblico femminile spesso sorpreso in sguardi languidamente rapiti, in alcuni casi, ricambiati dall'oratore.
Il fluido – Tavernari. Ne ha parlato, si diceva, anche di lui. Dopo aver letto compulsivamente i Taccuini, il bel volumetto allegato alla mostra allestita in galleria Ghiggini e che porta la sua firma e freneticamente ha preso appunti. La cifra dell'uomo e del critico è questa. La sua inarrivabile fluidità nel cogliere alla fine di cerchi concentrici il cuore della questione, la necessità dell'intervento. "Amo Tavernari, perchè lo ha amato il mio maestro Arcangeli – dice – ma soprattutto perché in grado di coniugare l'arte con il corpo dell'arte, la materia dell'arte e non solo con l'idea".
L'omaggio del critico – La sua battaglia per il disegno, per la disciplina fabrile, la matericità dell'opera, e non solo per il concetto; per il realismo quotidiano e non, politico e non, spirituale e non, passa anche dal suo omonimo scultore, " cui ho fatto l'omaggio migliore che un critico possa fare, acquistando due opere del suo periodo alto, intense, liriche, spirituali".
Il regalo al critico – La famiglia Tavernari presente al completo dona all'assessore una tempera dello scultore, come ringraziamento della presenza, del testo, delle parole finali. L'arte non è artificio, non deve stare dietro una paratia stagna. Dovrebbe unire, non dividere gli uomini. "Non sono d'accordo con certe forme estetizzanti, perchè precludono la libertà di pensiero e la possibilità di vivere e poi riducono tutto a formulazioni sterili", scriveva Tavernari nel 1973. Sgarbi non le cita, il 'suo' Tavernari può essere racchiuso dentro queste due frasi.