Il "grande vecchio" della pittura americana ha gli occhi giovani.
L'artista, affermatosi in America già dagli anni '60, ha camminato tangente a tutti i movimenti e le correnti e ha saputo mantenere una voce autonoma e originale e una vitalità sorprendente: se il cinema, la fotografia e la pubblicità hanno accompagnato le riflessioni sulla forma e la tecnica, la sua pittura è un continuo esercizio di minimal raffinato e gentile, che non descrive e non narra, se mai racconta il battito dell'occhio che contempla la fugacità del vivere e crea un dinamismo lirico tra l'energia delle cose raffigurate e il mondo intimo.
Quando intimo non significa privato.
Invece che smarrirsi di fronte alla generale difficoltà di ricreare un'estetica ‘contemporanea' in una società in continua trasformazione, Katz – di origini russe e quindi figlio della tradizione europea – compie un felice recupero della classicità riproposta attraverso la reinvenzione, che offre figure riconoscibili e rassicuranti. Una immaginaria macchina da presa gioca con i primi e i primissimi piani, i dettagli e le panoramiche: la novità sta nel taglio dell'inquadratura, nella formula del colore, negli sfondi. Le opere infatti sono fortemente connotate soprattutto per la messa a fuoco e il punto di vista, che riprendono le scelte ottiche della fotografia e del cinema.
Che si tratti di formati molto grandi o piccoli, come quelli presenti in mostra, sempre lo sguardo di Katz procede al rallenti in una operazione di indagine e studio, e nella scelta tra ‘cavare' il superfluo e salvare l'essenziale vince l'immagine che restituisce la preziosa inquietudine del tempo dell'istante e dell'eterno, vince lo spazio distillato che sembra un canto di calligramma.
L'inquadratura ritaglia all'interno dei limiti quotidiani una sorta di essenza che solo l'arte può dare: la pittura è il luogo della contemplazione e la lunga sosta dell' occhio guida dal rumore della vita al silenzio di uno mondo diverso. Che siano ritratti, acque e boschi, paesaggi o visioni notturne, l'oscillazione tra un realismo dolce e l'astrattismo vicino alla pura geometria descrive un tempo che finisce, e per questo va fermato grazie all'atto artistico che ricorda l'intensità di una carezza; un tempo che – pur fissato – non è mai immobile: le foglie cadranno e i visi conosceranno la vecchiaia.
Perché l'unica realtà davvero svelata dall'artista è il potere della precarietà, che insegna a dare valore alla vita. Tutto conta di più perché declina. Un sorriso, un passaggio di vento tra gli alberi, un gioco tra l'acqua e il sole.
E questo l'artista l'ha compreso a trent'anni.
Commuove la sua capacità di stupirsi ancora del respiro del bosco, della goccia di luce sul prato, del delicato silenzio della notte. E sembra che Katz confessi, costruendo una lenta enciclopedia di istanti rubati all'oblio, la sua ritirata contemplazione di tutto quello che accade intorno a casa, il discreto fruire della vita degli altri e il rispettoso ascolto degli attimi sempre diversi della natura.