L'oppio degli antenati – L'uomo dell'Isolino mangiava e adesso sappiamo molto di più anche del come: non solo il pesce, abbondante del lago, non solo la selvaggina dei dintorni. Ma anche fragole, more, alkekengi, semi di lino, semi di farinello e semi di papavero. Lo dicono le ultime analisi. Lo dice un provvido lacerto di terra, recuperata e inviata ai laboratori di Archeobiologia del Museo Archeologico di Como. Un lacerto che il caso ha voluto fosse parte di una latrina del nostro antenato. Da quel piccolo grumo di terra, non solo si è potuta definire nel dettaglio la dieta dell'uomo, ma retrodatare di circa 800 anni la presenza del papavero. Di fatto, definendo l'isolino Virginia come il sito più antico nel nord Italia dove compaia il fiore dell'oppio.
L'eccezionalità – E uno dei risultati, indubbiamente eclatanti, emersi dal convegno dedicato al patrimonio palafitticolo varesino nel week-end scorso. Due giornate di studio in cui sono convenuti sulle sponde del lago, tra il Pizzo di Bodio, il più antico abitato della Lombardia occidentale e l'Isolino Virginia – un tesoro che continua a regalare sorprese – esperti nazionali ed internazionali a fare il punto sulla situazione. A rimarcare, ce ne fosse ancora bisogno, una certa eccezionalità del nostro patrimonio archeologico e palafitticolo.
I semi d'oriente – In particolare, i risultati delle analisi compiute su un accumulo campionato all'Isolino hanno documentato l'utilizzo nel 4840-4680 a.C. di semi di diverse piante acquatiche e di sponda; colpiscono le origini di questi semi. Il lino, dal Vicino Oriente, il farinello e il papavero da oppio, dalla Spagna.
L'aspetto rilevante del ritrovamento all'Isolino di semi di papavero da oppio sta soprattutto nel fatto che ne viene documentato l'uso per scopi alimentari e che la datazione classifica il sito dell'Isolino come il più antico dell'Italia settentrionale in cui ne è attestata la coltivazione.
Varese epicentro – Alla luce, poi, della potenzialità scientifica dei siti lacustri prealpini e quelli di Varese in particolare, il convegno ha registrato la piena adesione di Umberto Spigo, Soprintendente per i Beni Archeologici della Lombardia. "Varese è stata sede storica della ricerca preistorica nell'area dei laghi prealpini, oggi del dibattito palafitticolo e della candidatura Unesco dei siti palafitticoli dell'arco alpino" ha commentato. Suo, non a caso, il suggerimento di fare del territorio varesino una sorta di sede istituzionale per la prosecuzione dei progetti e per la ricerca. Da qui l'invito alle istituzioni nazionali ed internazionali presenti ad incontrarsi per il futuro a Varese, per ulteriori confronti.
Il possibile record – E sempre in termini di confronti, la due giorni di studio ha gettato le premesse per una candidatura sovranazionale all'Unesco dei siti palafitticoli presenti lungo l'arco alpino. In Svizzera, che dispone di 446 siti, in Germania dove ve ne sono conservati 121; 70 quelli potenziali in Francia, 60 quelli in Italia, 40 in Slovenia.
Una candidatura che non può fare a meno di una precisa opera di catalogazione, di schedatura, del completamento dei rilevamenti topografici e di una seria, comune, politica di tutela, conservazione e valorizzazione. E' evidente che la posta in gioco è altissima. Per Varese, già patrimonio dell'Umanità per il suo seicento al Sacro Monte e con buone prospettive per la sua eredità longobarda nel Seprio, sarebbe il terzo ambito riconosciuto dall'Unesco. Probabilmente un record.