La chiesetta dell'Assunta di Gazzada, talvolta definita anche come cappella od oratorio per le sue piccole dimensioni, fu edificata con tutta probabilità tra la fine del Quattrocento e gli inizi del Cinquecento per volontà di un ricco possidente chiamato Antonio Ghiringhelli, detto Antoniotto: la sua funzione, nell'intenzione del committente, era quella di "evitare ai conterranei il dovere di recarsi sino a Schianno", che allora era la sede di una arcipretura.
Le prime notizie storiche precise, però, si ebbero solo in seguito all'epoca borromaica, dato che la prima descrizione venne stesa in latino proprio da Carlo Borromeo al termine di una sua visita pastorale avvenuta il 26 giugno 1574, in seguito alla quale darà anche alcune indicazioni su come abbellirla e risistemarla.
In seguito ai restauri, nella chiesetta si possono ammirare delle splendide decorazioni pittoriche, affrescate nell'abside: si tratta di un ciclo di affreschi, realizzato secondo un progetto iconografico coerente ed unitario, che stilisticamente rientra nel filone di quel Rinascimento umbratile del Varesotto.
Stando all'ipotesi più accreditata, espressa da Anna Maria Ferrari, questi dipinti sono ascrivibili alla bottega dei Campanigo, di conduzione perlopiù familiare, attiva nel Varesotto tra il XV e il XVI secolo, che è intervenuta nella decorazione pittorica anche di altri luoghi di culto della zona: quali, ad esempio, la chiesa di S. Maria Annunciata di Brunello, la chiesa di S. Stefano di Bizzozero, e la chiesa di S. Maria Assunta di Binago. Si possono altresì notare numerosissime affinità nelle stile, e similitudini nei soggetti, con gli affreschi dipinti nel catino absidale laterale dell'Abbazia di S. Donato a Sesto Calende: in entrambi i cicli la parte alta del catino è occupata dalla presenza di una regale figura benedicente inscritta in una mandorla.
Descrivendo i dipinti di Gazzada, partendo dall'arco trionfale, compare in alto l'immagine di Dio Padre, dalle braccia aperte e nell'atto di affacciarsi da un tondo, che lo incornicia come una sorta di arcobaleno circolare e iridescente. Sempre sull'arco, ma al di sotto, si svolge la scena dell'Annunciazione, con l'Arcangelo posizionato sulla sinistra e la Vergine sul lato destro, mentre lo spazio fra di loro è occupato da una distesa di torri circolari e quadrangolari, di un variopinto rosso e giallo, che rappresentano simbolicamente la Gerusalemme Celeste.
Una serie di bande colorate e decorate, poste sotto gli edifici della città, fanno poi da raccordo con le immagini presenti nel catino absidale. Qui si possono ammirare otto figure di profeti disposti su pulpiti tardo-gotici, tra cui si può riconoscere con sufficiente certezza solo Davide, re-profeta, in quanto dotato di corona e scettro.
Più in giù, all'interno dei quattro evangelisti posti lungo i lati, è stato dipinto in tutta la sua maestà il Signore benedicente circondato da una mandorla dai colori dell'arcobaleno (espressa citazione del versetto 4, 3 dell'Apocalisse). Nella mano sinistra regge un libro aperto con l'iscrizione "Ego sum lux mundi", tratta dal vangelo di Giovanni e con chiaro riferimento cristologico. Questo personaggio possiede però una certa peculiarità, perché non solo non ha le stigmate né altri segni distintivi propriamente cristici, bensì, ha addirittura barba e capelli bianchi, con dei lineamenti anziani simili a quelli di Dio Padre: la spiegazione di tale curiosità risiederebbe proprio nell'Apocalisse, dove nel brano 1, 14 il Signore viene descritto così: "i capelli della testa erano candidi, simili a lana candida, come la neve".
Infine, al di sotto si apre la scena, che si svolge come un nastro, della serie di undici apostoli (le cui immagini sono peraltro molto deperite dal tempo e perciò difficilmente riconoscibili), con al centro la crocifissione: mentre il dodicesimo apostolo trova spazio proprio sotto la croce.
La chiesa, situata in via Italia Libera, e restaurata nel corso del tempo a più riprese fino ad alcuni interventi recenti compiuti nel 2009, è ora ammirabile in tutto il suo splendore, quale piccolo gioiello della nostra arte varesotta.