Non passa inosservato lo sbarco di Paolo Zanzi a Busto Arsizio. L'art director, grafico, fotografo, che negli ultimi anni ha siglato con la sua riconoscibilissima firma alcuni tra i più importanti progetti espositivi, editoriali, culturali a Varese, si affaccia con la mostra dedicata a Mc Nally in uno spazio ancora in cerca d'autore e di una linea ben identificata; nel cuore della provincia, lambita solo in occasione della mostra Da Hayez a Morandi, opere dalle collezioni private bustocche per la quale Zanzi realizzò il catalogo.
Non è che un debutto. Anzi, più precisamente "una sorta di collaudo", spiega Zanzi, frenando le voci di chi lo raffigura già in pianta stabile con il timone in mano alla Fondazione Bandera. "Diciamo che è nato un interesse esplorativo ad aver la mia collaborazione. Al momento si è deciso di fare una esperienza insieme, questa mostra fotografica che, ribadisco, è un'esperienza chiusa in se stessa, che ho già trovato pronta, già decisa. Ci siamo detti: 'cominciamo a provarci".
Che sensazioni hanno dato i primi approcci?
"Ho trovato un ambiente disponibilissimo a muoversi a 360°, a voler essere innovativi sul piano culturale e nel metodo di lavoro. Che è quello di progettare, magari anche poco e adagio all'inizio, ma senza limitarsi a prendere di qua e di là quello che c'è. Si devono produrre le cose, fare in modo che siano momenti di incontro. Si deve ritrovare l'entusiasmo del fare".
Difficile essere entusiasti in una situazione come quella della Fondazione Bandera, in perenne crisi di visitatori.
"Un entusiasmo cauto, certo, non ubriaco. Ma l'importante è la voglia di cambiare senza rinnegare il passato, ma cercando piuttosto di aprirsi di più alla città, all'amministrazione, al territorio".
Come si concretizza il proposito?
"Pensando a progetti in continua evoluzione, in metamorfosi, dinamici e non statici che interagiscano con il visitatore, stimolandolo".
Si comincia dunque da Mc Nally? Se non avesse trovato questa proposta sarebbe partito da qui?
"Non credo e non perché discuta la veduta americana, di cui forse siamo un po' tutti succubi. Prima di conoscere a fondo la sua opera pensavo che fosse il solito reporter americano, allineato con i dettami della classica fotografia di moda e di pubblicità statunitense. In realtà Mc Nally portà in sé i germi della critica, critica positiva, all'american view. Si mette in gioco, gioca sull'enigma del tempo di essere fotografo. Quando si confronta con lo specchio, o gioca con la scenografia, o infila Gorbaciov come un albero tra gli alberi, ha dei colpi che probabilmente vanno al di là della sua stessa storia".
Un fotografo contaminato?
"Che ha sentito l'odore della grande fotografia europea, come del resto i maggiori fotografi americani. Armonizzano tutte le loro migliori qualità al massimo livello, dentro i termini della comunicatività americana, ma portano dentro il bacillo dell'Europa".
Ritorno alla domanda di prima: da cosa sarebbe partito?
"Da un progetto sul tempo, impostato sulla fotografia ma non solo, anche sul cinema, ad esempio. Cominciare un ragionamento che porti con sé altri ragionamenti. Come ho detto prima un lavoro in progress. Arrivare per gradi. Nei progetti questo conta, arrivare a quel dato punto quando hai già percorso tutta la strada necessaria per arrivarci".
Quando Paolo Zanzi comincerà a lavorare su questo progetto per Busto?
"Gli intendimenti ci sono, la difficoltà è capire quanto si possa essere capaci di farlo, sia io personalmente che i responsabili della Fondazione".