L'abbiamo lasciata a giugno, dopo il grande successo di McNally, la videoarte in occasione del Baff e altre piccole iniziative. Ora dalla Fondazione Bandera, con la presenza di Paolo Zanzi nel suo staff, ci aspettiamo qualche novità, che gli ultimi eventi avevano già lasciato trasparire.
Dopo McNally un'altra mostra fotografica: è questo un possibile indirizzo che volete percorrere?
"No. O meglio, non solo. Non vogliamo assolutamente essere individuati solo per la fotografia. C'è un grandissimo interesse in questo ambito, ma nel futuro c'è una visione molto più dilatata dell'arte. Non vogliamo porci paletti o etichette di nessun tipo".
Quindi come si inserisce la mostra di Giac Casale nel programma della Fondazione Bandera?
"Abbiamo voluto metterci a disposizione della rassegna Jazz che invade la città nel mese di ottobre e partecipare, dare il nostro contributo, dal punto di vista artistico. Quello che si profila non è semplicemente una mostra, ma un percorso evento che fa dialogare musica e fotografia. Il jazz che si distingue per il suo carattere di improvvisazione, di musica in tempo reale, condivide con la fotografia l'istantaneità dello scatto, che coglie questo tempo reale. L'idea della mostra fotografica è nata parallelamente a quella del concerto di Rossana Casale, che con molta soddisfazione nostra aprirà il festival jazz della città. E poi anche il concerto di chiusura avverrà qui, vedendo la Fondazione partecipe in modo significativo ad un evento che in maniera intelligente tenta di legare realtà diverse".
E' questo l'intendimento per il futuro? Finalmente una sinergia di iniziative sul territorio?
"Certamente. La Fondazione è al momento in uno stato di fervore progettuale, anche se per ora "invisibile", nel senso che i frutti di questo ripensamento sul modo di produrre cultura si potranno vedere fra qualche mese. Questo perché si tratta di cambiare in modo radicale il metodo di lavoro: il museo non può più assolvere il semplice compito della conservazione dell'Arte, ma si deve prospettare come vera "fabbrica di progettualità", un laboratorio di percorsi interdisciplinari. Non più singole mostre fini a se stesse, non siamo alla ricerca di eventi-spettacolo, ma di progetti dinamici che prendano vita strutturandosi sulle iniziative e sulle esigenze emergenti dal territorio, non solo bustocco. In questo senso non si può definire un calendario di eventi: il calendario sarà un binario che corre in maniera trasversale attraverso il territorio, interagendo con la vita culturale delle città, come è accaduto in questa occasione".
Ci sono segnali positivi da parte del territorio, dell'Amministrazione Comunale?
"Sì. Ho potuto verificare un'attenzione particolare da parte del Sindaco sulla volontà di intraprendere questa nuova strada. Per ora si è instaurata una vivacità di rapporto che può far ben sperare per il futuro. Sicuramente continuerà il nostro coinvolgimento nel Baff e da quest'anno anche con l'Istituto Cinematografico M. Antonioni, che proprio settimana prossima ospiteremo nei nostri spazi per la festa di inaugurazione dell'anno scolastico. Inoltre abbiamo accolto ai piani superiori la scuola di danza A.S.D. Lucia Galletti e siamo in contatto con l'Afi per discutere eventuali progetti insieme. Il tutto è nato in maniera spontanea e così ci auguriamo possa accadere nel futuro, ponendoci in ascolto e, soprattutto, in dialogo con le realtà culturali presenti sul territorio. L'imperativo è quello di integrarsi al massimo e di fare sistema, come si suol dire".
Arte a 360°, quindi. Ma la popolazione sarà pronta a recepire queste novità, visto che nelle mostre sembra ancora imperante la storia dell'arte locale?
"Sì, è vero. Ci può essere qualche difficoltà in questo senso. Ma non perché la gente non sia pronta. Ho potuto constatare di persona la creatività delle giovani menti del Liceo Artistico, che sotto la guida del preside Monteduro, hanno rivelato una vivacità culturale inaspettata. I bustocchi devono solo sapersi riconoscere in questo territorio e avere il coraggio di essere anche altro da questo. A mio parere peccano solo di eccessiva modestia: ci sono potenzialità latenti nella gente, ma che hanno bisogno di essere svegliate. Lo vediamo quando poi alle mostre, come quella di McNally, anche i più diffidenti poi ne escono stupiti. In fondo bisogna ricordare che anche il Liberty, che qui più che altrove ha trovato terreno fertile, era uno stile all'epoca assai rivoluzionario, ma che la città ha saputo accogliere a braccia aperte. Continuiamo a credere che questo sia possibile anche oggi".
Tornando alla serata di sabato 18 ottobre, ci sarà qualche indizio delle novità in cantiere?
"Sì, ed è molto importante. La location della serata, infatti, sarà l'area industriale sul retro della Fondazione, che abbiamo concepito, grazie a questo evento, come "fabbrica sonora". Ci auguriamo che questa struttura che stiamo riqualificando possa dar luogo a futuri "progetti dinamici" che facciano della Fondazione Bandera davvero un baricentro culturale sul territorio".