I Gitani sono un popolo antico, le cui origini si perdono nel passato, nel territorio tra l’India e il Pakistan. Lo dimostrano i tratti somatici, la lingua e anche alcuni testi antichi.
Fanno parte di un preciso gruppo etnico: i Romanì. Non si sa perché, a partire dall’anno mille, lasciarono la loro terra d’origine per raggiungere prima la Persia, quindi l’Armenia e la Turchia, per fermarsi poi nei Balcani. Solo tra il XIV e il XV secolo arrivarono in Europa e, a quel punto, si erano uniti a loro molti esuli provenienti da Croazia, Serbia, Albania e Grecia, facendone un popolo di molte etnie – le due principali sono i Rom e i Sinti – accomunato dall’uso della lingua romanì. Nel corso della storia hanno subito molte persecuzioni, come quella nazista. Con il passare del tempo da nomadi sono diventati stanziali, prendendo la cittadinanza del paese di residenza, ma perdendo molta della tradizione che li accomunava. Secondo le stime del Consiglio d’Europa in Europa vivono 10-12 milioni di romaní.
Il gruppo romanì divenuto quasi stanziale in Francia sono i Gitani. Vivono nella regione umida a sud di Arles, affacciata sul Mediterraneo: la Camargue.
Qui il piccolo paese di Saintes Maries de la Mer ci racconta una storia affascinante. Prende il nome da due Marie: Maria Salomè e Maria Jacobè che, secondo alcune leggende, furono perseguitate in Palestina, arrestate e abbandonate su una barca in mezzo al mare insieme alla serva Sara. Le donne, portate dalla corrente, approdarono sulla spiaggia francese.
Le due Marie divennero patrone del paese vicino e le loro statue sono collocate all’interno della chiesa mentre Sara, detta la Nera, diventò la protettrice degli zingari e la sua statua è posta nella cripta.
Ogni anno il 24 e 25 maggio, viene portata in processione lungo la spiaggia, in una festa piena di colori, canti e danze. In questi due giorni carovane di zingari provenienti da tutta Europa invadono il paese ritrovando quella unità di cui secoli di diaspora li hanno privati.
Il mondo dei Gitani ha conquistato la fotografa Isella Bellotti, che è autrice degli scatti raccolti nel Battistero di Velate nella mostra “Gitani e altre storie di Camargue”, che prosegue fino al 18 marzo ed è curata da Carla Tocchetti.
La Tocchetti sottolinea che “la mostra è un omaggio alla spiritualità del mondo gitano, popolato di persone che vivono completamente immerse nell’ambiente naturale originario. Questa loro essenza li pone in comunione perfetta con con la natura e con gli animali. Soprattutto con il cavallo bianco camarguese, che è al centro di una leggenda secondo la quale sarebbe nato dalla spuma del mare.
Il loro modo di vivere, la loro quotidianità sulle coste è davvero una dimensione magica che noi oggi riscopriamo attraverso l’obiettivo di Isella Bellotti. Un obiettivo che si avvicina in punta di piedi e sa cogliere l’istante grazie alla grande empatia sviluppata con questo popolo”.
E, infatti, la Bellotti racconta: “I Gitani mi hanno sempre attirato. Volevo scoprire qualcosa di più sulla loro cultura e sulle loro tradizioni. Sono spesso persone colte, con un’ottima padronanza della lingua francese: com’è possibile che scelgano di essere nomadi per tutta la vita? Eppure loro sono felici e respirano la libertà. Ho deciso di fotografarli per spiegare la fusione tra sacro e profano che caratterizza la loro vita”.
“Sono partita per la Camargue e li ho avvicinati con attenzione, – continua la fotografa – senza mostrare la macchina fotografica. Ti devono vedere per due, tre volte: quando entri in sintonia ti accettano”.
“Avevo sentito narrare la meraviglia della festa in onore di Sara la Nera e, quando ho saputo che ricorreva il 24 maggio, sono riuscita a entrare in chiesa: ho visto che agghindavano la statua con abiti e veli colorati. Poi accompagnano la processione lungo la spiaggia con la preghiera ‘Sara, Sara, je te suppli’, ‘ti supplico’ e chiedono alla loro santa le cose più disparate: tre cavalli o un aquirente per un cesto di vimini. Quella dei gitani è una religione molto primitiva, devota a una donna umile, a una serva. A una degli ‘ultimi’”.
“C’erano anche due preti che li accompagnavano sorridendo e che, alla fine della processione, hanno benedetto prima i loro cavalli bianchi, poi le cose più strane: i capelli del latin lover e dello sciamano, una pentola rotta e anche la lavatrice che sta sulla strada. Loro credono veramente che questo tipo di preghiera funzioni. Quando inizia la processione sono tutti vestiti di nero e hanno gli occhi lucidi. E’ un momento emozionante”.
“Per me è stata un’esperienza fantastica, l’unico modo per non vedere il lato turistico del gitano. Il gitano non è solo refrattario alle regole e al potere. Ha una sua tradizione e una sua primitiva forma di religione che è riuscita in qualche modo a coinvolgere la Chiesa Cattolica – conclude la Bellotti. – Non è poco”.
Chiara Ambrosioni