Busto A. – Mario Chiodo Grandi (Crema, 11 febbraio 1872 – Milano, 20 ottobre 1937) fu uno dei pittori più richiesti all’inizio del secolo scorso per la sua straordinaria abilità nella grande decorazione che infatti si può ammirare, e bene, anche a Busto e fin in altri paesi vicini dove trovò significativi apprezzamenti.
Non è chiaro finora attraverso quale via questo artista abbia trovato commissioni proprio a Busto Arsizio. Si può ipotizzare che a suggerirne il nome a qualche importante e facoltoso bustese sia stato, sul finire dell’Ottocento, il suo insegnante all’Accademia di Brera e alla Scuola d’Arte Applicata del Castello Sforzesco, vale a dire quel Luigi Cavenaghi che tra il 1874 e il 1876 restaurò e dipinse in Santa Maria di Piazza, rimanendo poi sempre in contatto con monsignor Tettamanti e altri maggiorenti bustesi. Certo è che nel 1899 Chiodo Grandi, già più di una promessa tra i pittori di pittura sacra ad affresco, fu invitato da un’aulica Commissione a presentare progetti per la decorazione della cupola, delle navate e dei transetti della chiesa di San Giovanni: impresa certo grandiosa e ambiziosa, ma forse ardua per un giovane non ancora trentenne tanto che egli non se la sentì di proporne.
Tuttavia il suo nome non fu dimenticato giacché dal 1901 lo si vide all’opera proprio come frescante in una villa di gran lusso costruita per la famiglia di Ernesto Ottolini, “padrone” di uno dei più importanti cotonifici della città. Nel salone principale di questa dimora Mario Chiodo Grandi svolse un programma decorativo alquanto complesso, fors’anche un tantino farraginoso, tutto una celebrazione delle Arti e dell’Amore, quest’ultimo palesato nell’affresco principale, fiancheggiato da due fluttuanti figure femminili, con Giulietta e Romeo mentre si scambiano il bacio. In tutte le pitture create in questo edificio, dove ebbe come giovane aiutante nientemeno che Carlo Carrà, l’artista appare ancora incerto sulla strada da scegliere: è un po’
Giuseppe Bertini, altro suo influente maestro a Brera, un po’ gli Scapigliati, che si può immaginare dovette conoscere di persona, e già anche attratto dalle forme simboliste ormai diffuse e di moda in Italia. Suppergiù su questi andamenti si rivelano anche le piacevoli e luminose scene, sempre ad affresco, sui soffitti della camera nuziale nella villa di Enrico Ottolini, fratello minore di Ernesto, e di un salone della villa Comerio in via Palestro, in seguito staccato per trovar posto poi a palazzo Marliani, Cicogna, tutti lavori realizzati entro il primo decennio del secolo scorso. Della volta del teatro Sociale, forse con la raffigurazione della “Danza delle ore”, soggetto di lunga fortuna nell’Ottocento, e forse, se sua, la prima opera da lui compiuta a Busto, nulla almeno per ora si può scrivere giacché essa è stata coperta negli interventi di trasformazione della sala succedutisi nel tempo.
Passarono molti anni prima che Chiodo Grandi tornasse a lavorare in città, anni comunque tutti impegnati ad affrescare (anche se non mancò di dedicarsi alla pittura da cavalletto, prediligendo in questo caso la figura muliebre) facciate di palazzi – addirittura quella dell’ambasciata d’Italia a Madrid! – e interni di chiese e di ville e pure il giardino d’inverno del ristorante Cova a fianco del teatro alla Scala, andato distrutto nei bombardamenti del 1943. L’artista per i suoi interventi decorativi non fu però richiesto solo in Italia, ma anche in Portogallo, Francia, Germania, Svizzera e fin a Bucarest, nella lontana Romania, tuttavia senza snobbare commissioni provenienti da piccoli paesi dell’alto Milanese come provano le testimonianze lasciate nelle chiese di Samarate e Busto Garolfo. Se ancora gli affreschi della Trinità a Samarate, compiuti nel 1914, palesano andamenti preraffaelliti e simbolisti in ritardo, quelli nella chiesa dedicata ai santi Salvatore e Margherita a Busto Garolfo, del 1928, parlano un linguaggio che, in linea coi tempi, evoca modelli classico-rinascimentali virati opportunamente su toni didascalici, consoni alla devozione popolare.
Avviata nel 1932 la decorazione, impegnativa e grandiosa, della volta di San Michele a Busto,
venne inaugurata da don Giovanni Rigamonti nel giorno della festività del Battista del 1934. Il tema suggerito era quello della Redenzione e della lotta, descritta nel libro dell’Apocalisse, fra gli angeli fedeli e quelli ribelli. Mario Chiodo Grandi lo svolse in tre riquadri affiancati dalle figure di dodici profeti: appena entrati in chiesa, alzando il capo, si può vedere la “Creazione dell’uomo” a cui fa seguito, veramente spettacolare, la “Battaglia degli angeli” e infine “l’Annunciazione”. In questa impresa, certamente faticosa e non semplice, si può constatare la ormai lunga e profonda esperienza maturata nella pittura ad affresco dal pittore cremasco che mostra un sapiente e sicuro possesso dei mezzi espressivi e delle tecniche, soprattutto nel vastissimo riquadro centrale dove sono raffigurati con forte empito gli angeli ribelli capeggiati da Lucifero che precipitano nei baratri infernali vinti da quelli fedeli guidati dall’arcangelo Michele. Riaffiorano forti, soprattutto in questo riquadro, gli studi accademici compiuti negli anni ormai lontani di Brera, con insistenti citazioni e variazioni dei modelli rinascimentali e barocchi, dall’insopprimibile Michelangelo a Guido Reni e fin a certe leggerezze settecentesche. Questa fatica conobbe allora ampi apprezzamenti anche al di fuori della città e già si ventilava, ovviamente affidandola ancora al maestro cremasco, di completare la decorazione di tutta la chiesa di San Michele non appena si fossero costruiti il transetto e la cupola e ampliato il presbiterio. Quando ciò avvenne l’artista era però mancato e a continuare l’opera, tra il 1942 e il 1950, furono altri, fra cui il nipote Ettore; certo lo fecero sulla scia del maestro, ma senza mai raggiungere i suoi esiti che ancora oggi sono apprezzati per la loro indiscussa maestria.
Giuseppe Pacciarotti