"Tanto più un individuo è lasciato libero e affrancato da obblighi e controlli, tanto più si sentirà investito da responsabilità e legami di lealtà". Parte da questa breve ma profonda considerazione la nostra chiacchierata con l'artista Giorgio Vicentini che da poco si "è congedato" dal suo ultimo libro: "Colore".
"Un volume – racconta l'artista – che raccoglie e ripercorre quarant'anni di lavoro e di passione, da un momento di ricerca inesausta, di "fame estrema" alla conquista di una professionalità riconosciuta. Ma oggi la strada è più aperta di ieri".
Il libro, curato da Angela Madesani e pubblicato per Dalai Editore, ha un ricchissimo apparato critico e bibliografico, oltre che un'antologia fotografica di eccezionale qualità.
"Questo vuole essere un racconto artistico allegro e leggiadro, aperto a tutti e rivolto principalmente ai giovani". Vicentini racconta le tappe del proprio percorso: nei suoi lavori l'astrazione non resta mai "a digiuno", ma si arricchisce di materia cromatica, di forme, trasformandosi in icona. "Il colore è il mio "capo" e io sono solo il suo "uomo di fatica". È la mia cifra -semplicissima e complicata insieme- che ho cercato di non tradire mai".
Ci sono artisti che, con onestà riservata ma non bigotta, trovano imbarazzante l'uso di parole impegnative ed ingombranti come "bellezza", "sentimenti", "religione". Sono formule abusate, dunque inflazionate ed impoverite nella loro essenza.
Ci si avventura così, quasi senza accorgersene, nei territori del trascendente. "Mi definisco un misticone". Vicentini sorride.
"Chi fa il mio mestiere automaticamente si imbatte nel sentiero del trascendente, pur occupandosi -o forse si dovrebbe dire, proprio perché ci si occupa- di cose materiali, feriali, concretissime, di tutti i giorni".