In Giappone le apparenze sono per lo più ingannevoli e obbligano sovente il viaggiatore a rivedere le proprie convinzioni.
Pur essendo il terzo paese del mondo per prodotto interno lordo, il Giappone sa regalare momenti di autentico incanto e magia. Nella frenesia fagocitante delle metropoli i suoi abitanti trovano sempre il tempo per portare qualche offerta nei luoghi di preghiera, bruciare incenso ai propri cari e creare lo spazio per un piccolo altare nelle case, per un parco in ogni quartiere o per un giardino fiorito nelle campagne.
Ogni strada, anche la più trafficata nasconde un santuario, dai palazzi sbuca una collina verdeggiante, boschi multicolori di aceri, cipressi e cedri spuntano in mezzo alle città.
Siamo sulla soglia del Tempio di Sanjūsangen-dō.
Ci troviamo in un quartiere centrale di Kyoto nei pressi della stazione ma l’atmosfera silente del suo splendido giardino ci fa credere di essere lontani decine di chilometri dalla metropoli.
Sui libri non si trovano immagini del suo interno se non qualche rara rappresentazione ufficiale, quindi non sappiamo bene cosa ci aspetta. Leggiamo sul cancello che è vietato scattare foto o usare i telefonini e tutti i presenti, con massima diligenza, resistono alla tentazione del selfie riponendo nelle tasche i propri apparecchi appena oltrepassato il cartello.
Forse anche per questo l’opera che stiamo per ammirare non è conosciuta come altre “icone pop” della storia dell’arte asiatica.
Varchiamo la porta e siamo subito inondati dalla lucentezza delle mille statue della dea Kannon.
Avalokiteśvara, la divinità dalle numerose braccia è la statua principale del tempio, realizzata sul finire dell’XII secolo dallo scultore Tankei di Kamakura, considerata tesoro nazionale del Giappone. Il santuario contiene ben un migliaio di altre sculture a grandezza naturale della dea, tutte diverse l’una dall’altra, posizionate su entrambi i lati della statua principale a riempire una sala sterminata. Tra queste, un centinaio provengono dal tempio originale, recuperate dall’incendio del 1249, mentre le altre risalgono al XIII secolo. Le sculture sono tutte intagliate nel legno di cipresso giapponese e ricoperte da lamine d’oro.
La Kannon nella tradizione buddista è la Dea della misericordia, colei che ascolta e si fa carico tutti i lamenti del mondo. Come un esercito di terracotta disarmato e pacifico le mille statue vegliano sull’equilibrio e sull’armonia del creato.
La scoperta di questo tesoro, quasi nemmeno menzionato dalle guide regala un senso più profondo al nostro peregrinare in una terra che si rivela colma di sorprese.
Durante una predicazione Buddha l’Illuminato spiegò: “la vita è un ponte: non costruitevi sopra alcuna dimora. E’ un fiume: non aggrappatevi alle sue sponde. E’ una palestra : usatela per sviluppare lo spirito. E’ un viaggio: iniziatelo e proseguite.”
Il giapponesismo ci attrae in primis perché l’uomo è sempre portato ad ammirare ciò che è differente dal proprio microcosmo.
Una delle diversità più evidenti per noi è che gli europei in genere, per cambiare, devono rompere con il passato. I giapponesi invece sanno mutare con gradualità.
Nella storia nipponica infatti non c’è mai una rottura o un’antitesi con ciò che ha preceduto. Non esiste l’idea di medioevo e di rinascimento, di cambiamento radicale, ma c’è una lenta e costante evoluzione.
Inoltre, questo popolo, spesso per scelta ma a volte per destino non ha avuto contatti con il mondo esterno, non si è mescolato con gli altri mantenendo una sua estetica peculiare.
Persino l’invincibile Kublai Khan dalla Mongolia cercò di invadere il Giappone per ben due volte, nel 1274 e nel 1281, fallendo ad ogni tentativo.
Sulla via della seta hanno viaggiato innumerevoli influssi dall’Europa all’Asia Centrale, dove si sono potuti mescolare elementi provenienti dalle varie tradizioni. Il Giappone però, essendo un’isola al di fuori dai percorsi più battuti, è sempre stato un po’ estraneo a questo flusso. Da queste parti si ritrovano infatti soltanto poche contaminazioni della cultura europea. Una di queste è la presenza della divinità greca Borea, che, essendo il dio del vento, ha potuto contare su una grande mobilità per compiere uno stupefacente viaggio sulla via della seta attraverso Asia Centrale e Cina fino a diventare il dio shintoista del vento, denominato Fujin.
Addirittura nel 1630 lo shogunato giapponese mise al bando il cristianesimo imponendo la pena di morte a chiunque tentasse di convertire nuovi fedeli. Quindi nemmeno la religione cristiana, che si è diffusa in quasi tutto il mondo, qui è presente.
Il Giappone è rimasto perciò un’entità a sé stante e proprio in questo risiede il suo fascino.
Ivo Stelluti, il Viaggiator Curioso,
Kyoto, Giappone, 1 maggio 2019.