L'arte della relazione – Non è stata una conferenza come le altre, quella che si è tenuta alla Gam venerdì scorso. A cominciare dal luogo, la sala in cui è esposta Accumulazione T, l'installazione di tessuti di Name diffusion. In un ambiente che profuma di fiaba, catapultati in un mondo possibile fatto di colori, parole, relazioni, i giovani del Liceo artistico di Varese e molti altri visitatori hanno preso parte alla conferenza sdraiati, seduti o sommersi da un mare di tessuto, mosso da mani curiose capaci di creare e trasformare le persone con un semplice gesto. E molti sono stati i travestimenti: chi è diventata una sposa, chi Robin Hood con un cappello piumato, o un pirata con la bandana; chi ha creato un opera in tulle colorato a cui ha dato il suggestivo nome "Montagna incontaminata". Tutti i presenti sono stati stimolati dal fascino del tessuto capace di creare comunicazione e relazioni, anche, e soprattutto, non verbali.
Il senso del sentire – Oltre a due delle tre artiste presenti in mostra, Enrica Borghi e Name Diffusion, all'incontro ha partecipato anche Francesca Alfano Miglietti, docente all'Accademia di Brera e curatore, che con abile ed affascinante dialettica ha espresso le sue preferenze in campo artistico: "amo gli artisti difficili, perchè funzionano spesso come forma di adescamento, ci fanno avvicinare e ci fanno più male che bene perché ci aprono gli occhi. Mi piacciono anche gli artisti che creano relazioni e storie: siamo in un'epoca che sta perdendo il senso perché noi stiamo perdendo i sensi; il problema è quello di aggiungere i sensi, non toglierli. Dobbiamo imparare a sentirci e a sentire ma non solo attraverso le opere, che in fondo sono il diaframma del mondo. Il mondo del sapere, vedere, toccare, è affascinante perché è tutto lì, non c'è nessuno che ce lo deve spiegare, basta saper guardare; è invece il luogo dell'invisibile quello a cui gli artisti danno un volto, e ci fanno pensare: l'arte porta con sé la capacità di trasformare gli elementi, è un altro modo di vedere, di toccare".
Desiderio di mare, desiderio di pelle – Anche Marion Baruc, artista di Name Diffusion, spiega qual è il suo concetto di arte, illustrando il suo lavoro: "il nostro è un modo di lavorare in gruppo – racconta Marion – cerchiamo di dare forma alla materia che si costituisce attraverso la presenza. Molte persone partecipano al nostro lavoro; in questa sala vediamo alle pareti, appesi a dei fili, tessuti che attestano come le persone hanno trasformato la materia che diventa il segno del loro passaggio. L'opera in cui ci troviamo si chiama Accumulazione T, e la T ha diversi significati: prima di tutto Tempo, che è servito per recuperare i materiali; Tessuto, con cui è composta l'installazione; Testo, perché ogni persona può scrivere un commento e appenderlo ai fili alle pareti della sala. Questa T può avere significati infiniti.
Oltre al titolo vero e proprio dell'opera, Marion svela che vi è anche un sottotitolo: "Una forma dell'incontro": "perché questo è uno spazio fatto per sentire diversamente – specifica – è un modo di lavorare sulla percezione delle cose e come fisicamente incontrarsi e sentire insieme". Ma esiste anche un altro titolo segreto dell'installazione, dato dall'artista Giovanna di Costa, amica della Baruc, e appeso ai fili tra i tessuti; "Desiderio di mare, desiderio di pelle": "è il desiderio e la possibilità di immergersi in questo mare di tessuti – spiega Marion – che sono un po' la nostra seconda pelle.
Vestiti di rifiuti – La stessa idea di seconda pelle Enrica Borghi la affronta attraverso i suoi abiti fatti coi sacchetti di rifiuti: "era la mia idea di abito ideale – racconta – la mia seconda pelle fatta di involucri di tetrapak, carte di mozzarella e altri rifiuti che entravano in contatto con me nella vita di tutti i giorni, e che ho cercato di tenere con me creando i vestiti, perché fanno parte della mia esistenza. Il rifiuto in qualche modo ci rappresenta; la quotidianità fatta anche dei nostri rifiuti può essere la nostra magia, trasformandosi per esempio in un abito di regina, come la mia opera che si trova al Castello di Rivoli composta da bottiglie di plastica. Anche il progetto per la città costruita intrecciando fili di plastica all'uncinetto, e creato per la mostra "Le trame di Penelope", ha in sé la magia dei rifiuti : "è anche una coperta – racconta Enrica – non è una città anonima, ma è qualcosa di accogliente, di caldo. E le persone ci mettono la loro personalità creando quello che a volte è una coperta, altre volte è un fiume o un parco".
È la moda che si occupa di noi – Queste tre donne non sono solo accomunate dal mestiere e dalla passione per l'arte, ma anche dall'influenza che la moda ha esercitato su ognuna di loro, portandole comunque a soluzioni diverse. Per Francesca Miglietti "la moda è un mondo molto profondo perché negli ultimi anni non progetta vestiti ma anatomie; si sente infatti per esempio dire "quest'anno vanno di moda le donne senza seno"; il che non implica che le donne si tolgano il seno, ma che magari ci siano corpetti moto stretti che lo appiattiscono fino a farlo scomparire sotto i vestiti. Sigmund Freud diceva che l'anatomia è un destino, oggi non è più così perché la moda progetta anatomie, e quindi possiamo cambiare attraverso i vestiti". Del tutto diversa è l'ispirazione che la moda ha dato a Enrica Borghi: "la moda nasce per me dall'idea di scarto, ho cercato soluzioni giocose, come indossare ciò che creo, cappellini o vestiti". Ma la definizione, o meglio l'intuizione, che meglio esplica i motivi per cui la moda ha una grande influenza in questi anni anche nel campo dell'arte, è quella espressa da Marion Baruc: "la realtà è anche moda, noi siamo dentro di essa e assumiamo tutti i desideri e le trappole che la moda ci detta. E poi a mio parere tutto sta nel fatto che ci piace la vita che è intorno a noi, e la moda fa parte della nostra vita. Noi non ci occupiamo di moda ma in qualche modo è la moda che si occupa di noi".