E' scomparso a quasi 73 anni al termine di una lunga battaglia con la malattia, Aldo Tagliaferro, legnanese di nascita, da lungo tempo però cittadino adottivo dell'Appennino. A Bazzano, nei pressi di Parma, da tempo avevo scelto il suo rifugio, una casa isolata, e da tempo, la casa era diventata il laboratorio per le sue sperimentazioni. A Legnano e anche alla provincia di Varese, in ogni caso, l'artista è sempre rimasto in qualche modo legato. Non fosse che per la sua partecipazione abituale alle collettive organizzate anche in questi ultimi anni dall'Associazione Artistica Legnanese e per la sua antologica, la più importante forse in una dimensione più ampia rispetto alla galleria privata, allestita nel 2001 alla Fondazione Bandera di Busto Arsizio, a cura di Vittorio Fagone, Alberto Fiz e la partecipazione dell'amico Fabrizio Rovesti, il critico-giornalista legnanese, a lui molto vicino in questi anni.
Artista importante Tagliaferro, forse non conosciuto come il suo lavoro coerente e concentrato meriterebbe; e benché fin dagli anni Sessanta a parlare di lui fossero i giovani leoni della critica ma anche storici dell'arte di comprovata esperienza: in ordine sparso e lavorando di sintesi, Kaisserlian, Valsecchi, Marchiori, Restany, Quintavalle, Crispolti, Caramel, Politi, Dorfles, Lea Vergine, Barilli. E negli anni sempre più frequenti gli interventi di veri e propri teorici del medium fotografico: Daniela Palazzoli, Roberta Valtorta, Giuliana Scimè, Roberto Mutti. Perché il pittore Aldo Tagliaferro, tale si è sempre considerato, ma da sempre incapace di disgiungere la sua giovanile inclinazione per la pittura dal registro dell'osservazione critica della realtà; diretta ma critica, che lo portò già negli anni Sessanta ad assumere lo scatto fotografico come imprescindibile per la sua poetica.
E in Italia, siamo a metà degli anni Sessanta, non era una operazione facile. Ma in questo Tagliaferro in qualche modo era premonitore e anticipatore. Concettuale il suo lavoro lo era e capace di portare nelle gallerie private così come nei grandi appuntamenti collettivi cui era invitato, la Biennale veneziana del 1970 su tutti, questioni non dissimili da quelle di Franco Vaccari, con il lavoro "Analisi di un ruolo operativo", o "Verifica di una mostra", in cui il suo lavoro fotografico registra l'analisi comportamentale del pubblico più che le opere esposte. Con alcune similtudini con con Ugo Mulas anche Tagliaferro utilizzava la parola 'verifica', per mettere in gioco la natura stessa del fotografare, l'atto e lo statuto di convenzionalità che ogni singola immagine rappresenta. E poi il lavoro sulla frammentazione dell'immagine, sulla serializzazione o la duplicazione. Tutti interventi che lo collocano di fatto nel pieno del processo avanguardistico degli anni Sessanta e Settanta. Emblematico anche il suo ciclo "Io-ritratto", proprio alla fine degli anni Settanta.
Il suo viaggio in Africa alla fine del decennio, segna una cesura nel suo lavoro e nel suo rapporto con la critica. Ritorna e sceglie altre strade anche di vita anche se perdurano le personali e le partecipazioni ad importanti collettive, in Italia e all'estero, che lo configurano stabilmente in quel territorio ancora dai difficili contorni tra arte e/o fotografia. Tra i suoi ultimi cicli importanti "Sopra/Sotto – un metro di terra", presentato anche alla Fondazione Bandera: da un lato della parete dieci immagini di cielo, ciascuna diversa; dall'altro dieci immagini di una buco nella terra di cui viene registrato il progressivo svuotamento. Chi lo ha conosciuto, lo ha letto come una sorta di viatico nei suoi ultimi anni.