Busto Arsizio – Il desiderio di cambiare, di evolvere diventa un’esigenza. Si fa inquietudine che lo spinge ad intraprendere un nuovo viaggio, temporale e fisico, alla ricerca del proprio io, di verità e identità. La ricerca artistica dell’artista Alex Sala nasce dal profondo interesse per l’essere umano e per quello che lo circonda inducendolo continuamente a mettersi in gioco, a riflettere su chi sia davvero l’essere umano, indagandolo dentro ad ogni aspetto e contro qualsiasi tipo di sistema e di evidenza.
Studio di tematiche che si concretizzano nella recente installazione presentata al concorso “Scultori a Palazzo” edizione 2018, organizzato a Cesano Maderno dall’Associazione Amici di Palazzo Arese Borromeo con la quale, lo scorso 20 ottobre conquistando la giuria, ha vinto il primo Premio.
L’installazione, intitolata “Temporaneamente – stati transitori dell’essere”, si compone di tre opere: Vedersi, Il tempo che mi lascio rubare e Logout, collegate tra loro da un denominatore comune: il rapporto col tempo e lo spazio, attorno al quale ruotano riflessioni e preoccupazioni dell’artista, sul degrado dell’uomo e della sua libertà.
Ne Il Tempo che mi lascio rubare l’attenzione di Sala si concentra sul rapporto tra uomo, burocrazia e potere. Nasce dalla riflessione sul tempo che la gente dedica alla ricerca di informazioni per avere una visione sui fatti e i cambiamenti della società.
In Vedersi l’artista ha interpretato lo scorrere degli anni in rapporto alla fragilità della materia. “Ho lasciato marcire una mela allo specchio, togliendone una fetta, e l’ho monitorata osservando il decadimento. Spiega – “Oltre ad analizzare la vulnerabilità, il nostro essere di passaggio, ho voluto rapportarmi al fenomeno sociale dei selfie. Le persone oggi provano godimento a fotografarsi, farsi vedere, esprimere il proprio ego, condividendo momenti e situazioni con tutti. La mia riflessione e risposta artistica assume questa interpretazione Mi vedo marcire, sono compiaciuto e ve lo dimostro… Un filosofo definisce i “selfisti” ego-mostri e credo che questa sia la definizione perfetta”.
In Logout, il desiderio di staccarsi dalla propria identità e di liberarsene viene rappresentato da alcuni vecchi documenti personali ritrovati, scaduti sui quali l’artista interviene con tagli creando una sorta di puzzle “anagrafico” non tanto guardando all’identità dell’essere essere umano quanto alle sovra identità che vengono date alla nascita come la nazionalità, la religione, l’appartenenza a un territorio a un popolo. “Ho voluto affermare che probabilmente non è più importante capire quello che siamo ma rifiutarlo, perchè – precisa – la differenza tra gli uomini dipende proprio da questo. Alla nascita tutti dovrebbero avere le stesse opportunità”.
Il tuo percorso artistico parte con la scultura poi, pian piano, l’hai accantonata, la stai accantonando per dedicarti alle performance art: dalla materia al gesto.
“Quello che stavo facendo non mi consentiva più di esprimere le mie idee. Era diventato un clichè. Certo non è stato semplice ma, nello stesso tempo, provavo soddistazione nel sperimentare altri ambiti liberamente. L’arte è un linguaggio e mi sono chiesto se quello che stessi esprimendo serviva a comunicare davvero o fosse una finta comunicazione. La scultura, questa è una mia riflessione, è un mezzo di espressione che pone dei limiti. Devi lavorare su volumi e linee, occorre partire dal disegno, da una sorta di progettazione che poi diventa un oggetto. Questo, benchè denso di significato, identificabile con chi l’ha fatto e di valore dettato dal mercato, pur sempre tale rimane. Quindi creavo prodotti, non stavo più trasmettendo quello che sentivo e questo mi creava malessere. Quindi mi sono rimesso in cammino e in discussione, a fare ricerche, per capire quello che volevo o potevo dire”.
Così hai trovato nella performance un nuovo linguaggio, un nuovo modo di comunicare.
“Per affrontare la performance occorre un certo tipo di preparazione mentale. Lo spirito e il corpo devono essere predisposti. La concentrazione è fondamentale anche se preferisco la spontaneità del gesto e la variante dovuta agli errori. Soprattutto questo mi affascina e interessa, ossia sapere di poter sbagliare e, come del resto nella vita, avere un margine di imprevisti. Diventa tutto più reale. La performance è un’azione dove il corpo è condotto a testimonianza del qui e ora. Mentre ritiravo il premio a Cesano Maderno ho avuto la necessità interiore di collegare le mie opere ad un’azione pubblica che ho rappresentato platealmente, anche con mio stupore, esternando gli stati d’animo contrastanti che stavo vivendo. Anche questo fa parte della mia ricerca sulla spontaneità del linguaggio che voglio adoperare. La comunicazione deve essere genuina, anzi ruspante e l’arte deve sensibilizzare le persone. Questo è l’intento, lo scopo che voglio raggiungere utilizzando quello che conosco”.
Sconfinare nell’evento e non più nella materia. Dalla scultura alla performance art il passo è…. l’azione…
E. Farioli