Fissità e divenire – Che dire della stanza dell'artista di Loredana Raciti, esposta alla Biennale veneziana attualmente in corso?
La stanza si presenta all'esterno come un caleidoscopio di luce: un parallelepipedo, formato da quadrati rigorosamente perfetti, tutti in materiale riflettente, s'impone all'attenzione per la sua monumentalità che diventata movimento proprio grazie al materiale specchiante. Nei quadrati entra così il mondo circostante che si deforma e che trasforma le linee ortogonali in linee circolari e che colora la superficie di tonalità mutevoli e cangianti.
Una costruzione rigorosa ma al tempo dialettica e sfuggente, che ingloba nella fissità del materiale il divenire delle cose.
Lo specchio degli Arnolfini – Un'architettura, che pur avendo una finalità ecologica, è di per sé autonoma: la presenza di una porta, dotata di una sottile e fitta grata, conduce lo spettatore all'esplorazione dell'interno, non immediatamente leggibile. E' solo a porta aperta, quando il visitatore entra, che ci si rende conto che la struttura, che richiamava l'ambiguità dello specchio dei coniugi Arnolfini, contiene gli elementi della femminilità dell'autrice; troppi gli elementi che scandiscono la vita e i sogni dell'artista. Troppe cose, troppi elementi frammentari e descrittivi.
Interni narranti – L'artista non ha saputo frenare il suo racconto personale che limita dunque la lettura dell'opera e che rivela la necessità tutta psicologica di dire e di comunicare il suo mondo interiore. E se proprio vogliamo stare al gioco, troppo nuovi gli stivali, quelli volanti, per intenderci, che giacciono sul pavimento della stanza. Indubbiamente, mentre l'esterno sembra essere più opera della mente, l'interno è opera del cuore e dell'istinto.
Lasciamo il tempo alla sedimentazione dei ricordi, delle ansie e dei sogni ad occhi aperti: diamo il tempo alla Raciti di filtrare il tutto e di giungere a una sintesi semplice ma forte.