Quasi 9000mq di superficie totale occupata per un solo artista, tre mesi di esposizione e tre grandi istituzioni culturali coinvolte in un unico, memorabile progetto: ecco i numeri della recente mostra di James Turrell che ha trasfigurato – letteralmente – la grande "rotonda" del Guggenheim di New York.
Si è simbolicamente aperta nel giorno dell'anno in cui la luce dura più a lungo, il 21 giugno, la personale dell'autore di punta del movimento Light and Space sorto in California alla metà degli anni Sessanta. Prima esposizione newyorchese dopo la retrospettiva di metà carriera tenutasi nel 1980 presso il Whitney Museum of American Art, la mostra allestita presso il Guggenheim rientrava in un progetto più ampio, congiuntamente organizzato dal LACMA di Los Angeles e dal MFA di Houston: la prima volta che tre istituzioni museali di questa importanza hanno collaborato per una celebrazione di così grandi dimensioni.
Anche per queste emergenze e per le caratteristiche del progetto che ha mobilitato il pubblico di critici e di esperti, il «New York Times Magazine» ha voluto dedicare la copertina del numero uscito il 16 giugno, attribuendo al noto autore la qualifica di Mesmerizer, "ipnotizzatore", presentando il ciclo di esposizioni a lui intitolato come "the biggest event in the art world this summer".
Così, una porzione del celebre spazio museale progettato da Frank Lloyd Wright si è trasformata in una stupefacente struttura fatta di coni concentrici che sotto gli occhi dei visitatori ha assunto tutte le gamme dello spettro visibile, combinando insieme luce naturale e LED.
La luce è, infatti, la materia prima dei lavori di Turrell, che dimostrano un interesse tanto verso gli effetti delle fonti luminose artificiali, quanto verso l'osservazione dell'energia naturale, come dimostra la serie Skyspaces, fatta di edifici progettati con suggestive aperture sul cielo e, ancor di più, il monumentale work in progress presso il ranch di Flagstaff (Arizona) denominato Roden
Crater.
Aver progettato una sua mostra, hanno rivelato i curatori del LACMA, del museo di Houston e del Guggenheim, è operazione quanto mai complessa, perché ciascun pezzo deve essere costruito sul posto e richiede elaborate modifiche alla struttura ospitante: le stanze devono essere perfettamente isolate, le finestre oscurate, secondo le indicazioni dell'artista. Non ci sono oggetti o immagini con didascalia da osservare, anzi ciò che si richiede al visitatore è proprio di abbandonare queste convenzioni, di rinunciare a riconoscere con certezza ciò che sta guardando, per riflettere piuttosto sulle modalità del procedimento visivo.
La mostra del Guggenheim ha dato ampio risalto proprio all'aspetto di site-specificity che contraddistingue la pratica di Turrell e la sua indagine condotta intorno al concetto di materializzazione della luce, di suggestione dell'occhio dello spettatore, posto di continuo davanti ad un'inedita presenza fisica, quasi architettonica, di un elemento mutevole come la luce.