Da Olgiate occorre passare l’Olona e risalire l’opposto pendio e da qui, dopo aver percorso “un ameno viale”, nell’Ottocento si giungeva a Gorla Minore e alle proprietà dei marchesi Terzaghi in seguito passate a un ramo secondogenito dei conti Durini. Si può ipotizzare che proprio in occasione delle nozze, avvenute nel 1763, fra Maria Teresa Terzaghi e il capitano Carlo, rampollo dell’autorevole famiglia milanese, sia stata data alla dimora, denominata “la Magna”, una veste confacente al rango acquisito.
Ma di questa sistemazione e degli abbellimenti oggi non molto si può apprezzare perché l’edificio, sapientemente articolato e reso caratteristico da un portico di inconsueta leggerezza che apre sulla corte nobile, subì “riforme” nel tardo Ottocento ad opera del conte-architetto Emilio Alemagna. Fu questa figura molto ambita dalla nobiltà lombarda per la costruzione o l’adattamento delle ville di sua proprietà in Brianza o nel Varesotto, a dare alla Magna una veste neorococò valendosi anche dell’intervento del legnanese Mosè Turri per le pitture murali intonate a codesto gusto. Sempre a Emilio Alemagna, allievo del Balzaretto per i giardini, spetta la sistemazione dell’ombroso e vasto parco dove, quasi sul ciglio della valle, si impone oggi un edificio scolastico di severa eleganza voluto dal Comune di Gorla diventato proprietario del possedimento.
Come sede degli uffici municipali la villa ha visto ancora adattamenti tanto che oggi è impossibile ammirare quegli interni sontuosamente arredati visibili in un volume pubblicato nel 1907 e dedicato alle “Ville e castelli di Lombardia e laghi”. Dei conti Durini resta però ancora sulla facciata verso il parco, entro una fastosa cornice, lo stemma gentilizio con l’aquila coronata, la croce e la Corona Ferrea, insegna trionfale e pia della città di Monza di cui i Durini erano feudatari.
Anche la casa da nobile a Gorla Maggiore dei Terzaghi, signori del borgo dal 1650 grazie alle ambizioni di monsignor Carlo Giacomo, canonico del Duomo di Milano, ha subito trasformazioni non lievi col trascorrere dei secoli e per i passaggi di proprietà. Abbattuto il muro di cinta che con un breve giardino antistante la divideva dalla piazza del paese, essa si presenta oggi, diventata ormai sede municipale, con l’aspetto semplice e austero datole nell’Ottocento. Che i proprietari, siano essi stati i Terzaghi, o il cavalier Negroni Prati o il conte Casati, tenessero a questa casa e alla sua veste onorevole lo provano però i fregi affrescati di gusto neoclassico (dunque del tempo di quando era ancora dei Terzaghi proprietari fino al 1868) ricomparsi in alcune sale grazie a un sapiente intervento di restauro compiuto qualche anno fa.
Affrontando la discesa che s’avvia dal piazzale di casa Terzaghi e della chiesa dell’Assunta e attraversando ancora l’Olona si risale poi verso Fagnano “che ha pagine nella storia” secondo la “Grande Illustrazione” e che va fiera del castello, antemurale di Castelseprio ai tempi delle lotte fra Torriani e Visconti ai quali alla fine appartenne. Non distante da esso e congiunto al paese da uno scenografico e paesaggistico viale (almeno tanto tempo fa), nella località detta “Castellaccio” – e l’appellativo dice che anche questa era luogo di difesa – si incontra un edificio fatto sistemare dal possidente Benigno Bossi dopo averlo ereditato dalla madre, una Visconti del ramo di Orago. L’architetto che vi intervenne alla metà del Settecento seppe opportunamente sfruttare la sua collocazione e dal corpo centrale alleggerito da una colta serliana dispose le ali rivolte da una parte verso il viale e il borgo e dall’altra sulla valle dell’Olona e sull’ampio panorama prealpino.
Affiancata da una cappella dedicata all’Immacolata dipinta in un affresco da Biagio Bellotti, la villa di Benigno Bossi-Visconti si intona perfettamente a quel piacere rustico, ma non dimesso, tipico delle ville suburbane dove i milanesi del tempo che fu andavano per godere la salubrità dell’aria, la frescura nei mesi dell’estate e la piacevolezza dei “cannocchiali” su quella Lombardia proprio “in pace” per citare Manzoni.
Giuseppe Pacciarotti