Busto Arsizio – L’esercizio della conoscenza impone graduale rispetto nei confronti di se stessi e della materia da approfondire, attuando una regolare disciplina di studio.
Tale rigoroso processo distingue la ricerca fotografica di Valter Iannetti in “Afghanistan. Nel tempo di mezzo”, mostra compresa nel Festival Fotografico Europeo, in corso alla Fondazione Bandera per l’Arte.
La lunga permanenza in quel Paese ha permesso all’autore di procedere per gradi nella conoscenza del paesaggio, dei centri urbani, sino a stabilire un rapporto di fiducia con le persone che in quei luoghi sono nate e vivono.
L’allestimento curato da Cristina Moregola rispetta a pieno tali cadenze.
Il percorso espositivo si apre con visioni aeree di paesaggi la cui conformità rimanda all’arte astratta, per proseguire con scorci di luoghi abitati, dove la quotidianità si manifesta in tutta la sua naturale e atavica cadenza, sino ad una serie di ritratti quale dimostrazione di come Valter Iannetti sia stato in grado di stabilire con i singoli soggetti un rapporto di reciproco rispetto.
Siamo stati accolti da Valter Iannetti negli spazi della Fondazione Bandera per l’Arte dove è in corso la sua personale fotografica.
Per quanto tempo ha svolto in Afghanistan il ruolo istituzionale di cui era stato incaricato?
“Sono rimasto in Afghanistan otto mesi, dal dicembre 2006 sino ad agosto 2007”.
Quali sono state le prime impressioni arrivando in quel Paese ?
“ Nonostante il clima sia simile al nostro è un mondo completamente diverso, quello che mi ha subito colpito è stata la vastità degli orizzonti; provenivo da Bolzano, un ambiente chiuso tra le montagne, sono passato dal verde scuro al giallo intenso”.
Come sono stati i primi rapporti con le persone ?
“Sono persone che hanno come noi identiche aspirazioni: avere una vita con i propri familiari, crescere i figli, avere un lavoro e comunque all’inizio avere contatti diretti non è stato facile. A Herat ho conosciuto persone con un grado culturale medio alto e alcuni giovani universitari, mentre nei villaggi con le autorità del posto mi rapportavo con il capo della collettività o il capo della sicurezza, che avevano a cuore la serenità della propria comunità e dei propri familiari”.
Quali erano le loro esigenze ?
“ Fondamentalmente nei villaggi chiedevano tre cose, avere un pozzo con acqua potabile poiché quello era, ed è è ancora oggi un grosso problema, avere una scuola e una clinica, che non va intesa con i nostri parametri. In realtà si trattava di un dispensario dove una volta al mese si sarebbe recato un infermiere proveniente da Herat o da un vicino ospedale per fare, nel limite delle proprie competenze, visite mediche e prescrivere farmaci”.
Dopodiché come mutava il loro sguardo nei vostri confronti ?
“In generale si riusciva a stabilire quasi subito un rapporto di cordialità, poi come ovunque dipendeva dagli interlocutori, a volte erano formali, in altre frangenti addirittura si scherzava, comunque erano due civiltà a confronto, la nostra cattolica la loro musulmana con radicate tradizioni sovrapposte a quelle della cultura islamica e a quelle tribali, inoltre ogni tribù aveva proprie peculiarità con distinti usi e costumi. Va sottolineato che è un popolo che ha avuto a che fare per decenni con guerre interne e differenti insediamenti di forze straniere”.
Cosa le è rimasto di quel Paese ?
“ Nonostante il dolore per i continui combattimenti, l’umanità delle persone, i loro sorrisi e come in tutte le realtà rurali del mondo il loro desiderio di scambiare anche solo una stretta di mano o condividere un thè e poi i sorrisi dei bambini che sono simili in tutto il mondo”.
Come è nata l’idea di questa mostra fotografica ?
“ Le foto sono del 2007, non le avevo mai fatte vedere a nessuno senza sapere bene il perché, forse perché le sentivo profondamente intime e personali. Lo scorso anno quando si è verificato il ritiro delle forze NATO, ho visto in TV luoghi nei quali ero stato che venivano devastati a causa della riconquista dei talebani, sono stato male perché presagivo quello che sarebbe successo”.
Ritonerebbe ?
“Si, tornerei poiché ci sono zone affascianti come la vecchia strada nell’interno che risale alla via della seta dove si eseguono manufatti con tecniche molto antiche, inoltre si incontrano panorami di una tale vastità che se si è soli, muta il rapporto con se stessi, con il prossimo e con il mondo”
Valter Iannetti – “Afghanistan. Nel tempo di mezzo” – Busto Arsizio – Fondazione Bandera per l’Arte, Via Andrea Costa 29. Fino al 5 giugno. Orario: giovedì-domenica16-19
Mauro Bianchini