Pitture murali e ceramiche testimoniano l’opera lasciata dall’artista abruzzese nella parrocchia dei Frati Minori dove lavorò nella metà degli anni ’40 del secolo scorso. Lo storico Paolo Rusconi ci accompagna in una visita guidata all’interno della chiesa.
Iniziamo dai dipinti nelle quattro lunette del presbiterio dedicati alla vita di San Francesco. A sinistra dell’altare maggiore sono raffigurati “Il Presepe di Greccio e “Il Cantico delle creature”, di fronte, “Il lupo di Gubbio” e “La morte di San Francesco”.
“In origine – spiega Rusconi – i religiosi avevano espresso il desiderio di sostituire queste ultime due scene con soggetti ispirati all’Eucarestia, ma la richiesta non raccolse consensi. Il ciclo murale fu commissionato da Francesco Bianchi, allora padre guardiano del Convento, nel 1945, periodo in cui, in città, era rilevante l’apprezzamento per l’opera di Pandolfi. La sua pittura, infatti, rifletteva il gusto collezionistico bustese rappresentato, allora, da personaggi illustri come Giovanni Uberti Bona, Nino Maglia ed Ettore Rossi”.
Nomi importanti da ricordare, alcuni dei quali figuravano come i committenti dei lavori. I carteggi rinvenuti, appartenenti a Ettore Rossi e la serie di informazioni ritrovate, hanno reso possibile la ricostruzione della cronaca dei dipinti e la relativa questione finanziaria che risulterà determinante in tutta la vicenda.
“Nel gennaio del 1946, il padre guardiano non aveva ancora raggiunto la somma di 200.000 lire fissata per l’esecuzione. – continua lo storico – Pertanto vennero ultimate solo due lunette: “Il Presepe di Greccio e “Il Cantico delle Creature”. L’incarico di completare il presbiterio della chiesa bustocca fu confermato ufficialmente nel settembre dell’anno successivo. L’entusiasmo con cui Pandolfi affrontò l’impresa ebbe come un senso di rivalsa per l’esito negativo della precedente fatica, l’affresco gallaratese intitolato “La Gloria”, dipinto prima della guerra e poi coperto dopo la caduta del regime. Il lavoro di Busto fu molto impegnativo per l’artista tant’è che, in una lettera ritrovata, scriveva: “Questi disegni mi hanno sfibrato; le pieghe delle tonache non vanno mai bene!… le rifaccio cinque, sei volte!””.
Nei mesi di luglio e agosto del ‘48 iniziò e terminò le altre lunette raffiguranti “Il Lupo di Gubbio” e “La morte di San Francesco”.
Tanta fatica valse tanto successo tra i fedeli e in tutta la città.
“Il pittore si espresse con un repertorio di forme e motivi in parte già sperimentati nel dipinto gallaratese e nella produzione ceramica con evidenti richiami al proprio lavoro. Vennero esaltate le sceneggiature umbre anche se – precisa lo studioso – gli sfondi paiono ambientati nelle contrade abruzzesi piuttosto che nella campagna umbra. Particolari interessanti, nel racconto di Pandolfi che, per il realismo minuzioso e accurato con cui si è espresso, sono rappresentati dall’autoritratto (nella lunetta dedicata a “Il lupo di Gubbio) dove lo si riconosce in veste agreste e altri personaggi noti dell’epoca, ritratti e inseriti nelle diverse rappresentazioni. La chiave interpretativa dei dipinti murali è nella voluta contrapposizione tra il plasticismo massiccio delle figure e il montaggio, quasi bidimensionale, delle stesse rispetto al piano. Una modalità cara, negli anni Trenta, a pittori di stretta osservanza novecentista”.
Di Pandolfi, oltre ai dipinti, si possono ammirare interessanti ceramiche come la Madonna dell’Aiuto (1943), murata e visibile nella cappella del Crocifisso (navata sinistra). Nella scena, alle spalle di Maria, oltre ai monti abruzzesi, l’artista omaggia la città di Busto Arsizio con uno scorcio, riconoscibile dal santuario di Santa Maria e dalle ciminiere. Accanto, uno specchio d’acqua…..
“L’acqua – svela Rusconi – fu rappresentata in seguito ad un errore iconografico: Pandolfi pensava al gesto miracoloso atto a fermare un’inondazione e non la peste…”.
Ed ancora la ceramica dedicata a Santa Rita da Cascia, visibile sulla parete laterale della cappella di San Carlo (navata destra).
“In origine la sua collocazione non era la stessa- sottolinea lo studioso – ma poteva essere, secondo il suggerimento dei donatori Nino Maglia e Ettore Rossi, a lato dell’altare maggiore. Mantengono invece la medesima sede le dodici formelle raffiguranti le tre Chiese di Assisi e i nove episodi della vita di San Francesco, murate, a struttura di Croce, nella cappella dedicata al Santo e donate dal Maglia. Non ci sono tracce, e nulla si è più saputo, delle formelle con i simboli della Passione che avrebbero ornato la parete dell’altare del Crocifisso…”.
Firmati dall’artista anche due affreschi all’interno del Convento dedicati, uno a San Sebastiano, l’altro a un particolare del Presepe di Greccio (rappresentato, come abbiamo visto, nel presbiterio del Santuario).
Pandolfi, amato e stimato dai bustocchi, aveva coltivato molte amicizie ed estimatori. Quando morì venne istituita, in sua memoria, una borsa di studio destinata a un aspirante alle missioni francescane. Un riconoscimento andato poi perso nel corso degli anni….
Elisabetta Farioli |