Nell’869 dopo Cristo il IV Concilio Ecumenico di Costantinopoli decretò che l’icona “annuncia con i colori quanto il Vangelo dice con le parole”.
L’icona è una preghiera che inizia quando l’artista, un medium per il messaggio divino, sceglie una base in legno e la copre di vari strati: prima la colla, poi la tela, quindi il gesso e solo a questo punto le lamine d’oro e i pigmenti naturali. È un rito creativo codificato dalla tradizione. Proprio questo tuffo nella tradizione e nel sacro ha affascinato Cristina Capella, che ha scoperto l’arte delle icone negli anni ’90, guidata dall’insegnamento del l’iconografo rumeno Aurel Ionescu. Da allora ha realizzato oltre 250 icone, che sono esposte in monasteri, istituti religiosi e seminari, in Italia e all’estero. L’autrice ha anche realizzato numerose mostre, soprattutto nel nostro territorio. “L’icona traduce la Parola di Dio e rende visibile la Veritá – spiega Capello – usando il linguaggio del colore e del simbolo. Partendo dal fondo scuro di legno, pennellata dopo pennellata, si arriva alla luce. Si dice che l’iconografo “scrive l’icona” perché, obbedendo alla tradizione, è come un copista che non può modificare il testo. Le icone non sono soltanto oggetti da ammirare, belli per l’occhio. Sono riflessi del divino”.

Domani e domenica, in occasione della festa patronale di san Martino, Cristina Capello ha allestito a Malnate (VA), proprio nella piazza dedicata al santo e presso il Centro Culturale Mons.Sonzini, la mostra di icone sacre “Mirabile Dio nei suoi Santi”. Messaggi divini affascinanti, realizzati con perizia e secondo schemi antichi. Un’opportunità poter vedere, oggi e vicino a noi, delle opere tanto legate a un passato lontano. Infatti le icone venivano usate dapprima nell’arte bizantina e poi anche in quella slava per onorare Dio. La tradizione dice che lo stesso evangelista Luca abbia realizzato numerosi ritratti della Vergine in questa forma.
L’icona assunse precise caratteristiche nella seconda metà del V secolo, alla caduta dell’Impero Romano d’Oriente. L’artista, prima di rappresentare il messaggio delle Sacre Scritture, si immergeva in uno stato di meditazione che gli permetteva di entrare in stretto contatto con il divino, poi prendeva una tavoletta e iniziava il suo lavoro. Alla fine non apponeva la sua firma: era stato guidato da Dio. Per meglio comprendere questa complessa espressione artistica è importante ricordare la concezione del tempo nella società Orientale. Se in Europa la consapevolezza della storia e lo sviluppo delle scienze diedero una precisa idea del “prima” e del “dopo”, anche in ambito religioso, nell’Europa Orientale si mantenne salda la tradizione dei padri della chiesa, che dividevano la storia nel “tempo precedente” e quello “successivo” alla venuta di Cristo. L’idea di Tempo non era applicabile a Dio e alla sua eternità. Per questo le immagini delle icone sono raffigurate come fuori dal tempo, sono statiche: i santi sono già parte del mondo divino. Lo sguardo delle icone viene dall’eternità. Le icone non sono quadri, non sono immagini che raccontano emozioni o storie, non sono una realtà in movimento: sono il collegamento con un altro mondo.
“Mirabile Dio nei Suoi Santi”, Mostra di icone sacre,
Centro Culturale Mon.Sonzini, p.zza San Martino, Malnate
11 e 12 novembre
cristina@mirabileydio.it
www.mirabileydio.it
Chiara Ambrosioni