Sono passati sei anni da quando Gian Paolo Tomasi fece molto rumore svelando, non l’unico in verità, ma con grande chiasso mediatico, l’inganno della fotografia. Si era ad una svolta d’epoca. Al passaggio al digitale. Qualcuno lo masticava già. Tomasi era da tempo in prima fila. Fin dalla metà degli anni Ottanta lo sperimentava e brevettava il phototransfer, tecnica che permette l’elaborazione del digitale sul materiale stampata.
Lavorando con Penn o Avedon ed altri mostri sacri dell’obiettivo aveva contributo a creare l’immagine della donna oggetto del desiderio, desiderio e oggetto di merce e di identificazione di massa inversamente proporzionale al grado di vicinanza al normale canone di bellezza comune.
Perfette. Intonse. Senza difetti. Senza cellulite. Senza orecchie a sventola. Con le tette piccole. Con le tette grosse. Tutte su misura dell’occhio, del pubblicitario, del mercato. Tomasi fa un passo in là. Dopo anni di esperienza in trincea, sviluppa la sua idea in proprio.
Dal suo archivio estrae decine di particolari di donna già fotografate. Li assembla. Potrebbero risultarne dei corpi quasi mostruosi. Lui interviene con il digitale. Modifica, lima, ritocca. L’insieme diviene mirabile, perfetto, non esistente in natura. Eppure di queste donne, lui fornisce storie, hobbies, misure. E li pubblica sulle pagine di GQ.
Scoppia a suo modo uno scandalo.
I pubblicitari chiedono per sapere dove trovare simili figure da utilizzare per le loro merci. Il direttore del giornale è costretto a presentarsi in tv a dichiarare che è tutto finto. Qual è la morale?
Il pubblico per anni ha creduto, ha fatto finta di credere, ad un tipo di iconografia, di bellezza, lanciata dai media, palesemente falsato. E c’è un tale margine in questo gioco da portarlo fino all’estreme conseguenze. Fino a creare davvero cose che non esistono. Sperando che davvero non vi si creda più.
Oggi, per il fotografo ormai assurto ad artista ad tutti gli effetti riconosciuto da istituzioni museali e gallerie, le modelle virtuali sono divenute, materie d’arte. Per lui, attività professionale a Milano e per il mondo, buen retiro a Lisanza, sul lago Maggiore, piccolo comune tra Sesto Calende e Angera, adesso si è aperta questa mostra Personalmente ibrido a Roma, per le cure di Micol di Veroli, inserita, nel calendario di A bit of Art – rassegna di arte contemporanea, visitabile fino al primo di luglio.
Ma Tomasi non è famoso solo per le donne da sogno o da incubo, per la Bellucci-San Sebastiano o per le Ilary Blasi ritratte come Odalische alla Ingres. La sua è una carriera di altro profilo artigianale, nel saper fare manuale e solo poi nel trasformarsi in licenza inventiva.
Tomasi muove dal laboratorio fotografico, dal brevetto innovativo del phototransfer sorta di contaminazione tra pittura e fotografia digitale. Da lì la strada è in discesa per la sua affermazione autonoma nel campo dell’arte.
Ma prima c’è il contatto con il miglior milieu della fotografia mondiale: da Giacomelli, a Gastel, da Salgado a Clergue, da Penn a Leibovitz. Quindi, le mostre; i capricci veneziani; o quelli strepitosi sulle rovine romane, o ancora i non meno ambigui e affascinanti dell’ultima generazioni immaginati per la recente mostra bergamasca; e mostre alla Ca de Fra’, da allora sua galleria di riferimento, fino agli ultimi contratti firmati con Specchio, inserto de La Stampa di Torino, Panorama, e Eni per la campagna pubblicitaria nazionale.
Sarebbe interessante, per dire, che anche una città come Varese, un po’ ferma nella iconografia che ha di sé provasse a spingersi nella fantasia di questo artista e vedersi nel rifrangersi del suo phototransfer. Solo per vedere l’effetto che fa. Una sua incredibile visione triplicata di Castel Sant’Angelo di Roma recentemente esposta a Miart è stata acquisita dal Presidente del Museo di Israele di Gerusalemme. Non abbiamo niente a che vedere con la prigione dei papi e con il Tevere, ma vai a vedere con la fantasia…
Gian Paolo Tomasi – Personalmente Ibrido
a cura di Micol do Veroli
inaugurazione 30 maggio 2006 ore 18.00
periodo: 30 maggio – 1 luglio 2006
Abitart Hotel – via Matteucci 20 Roma
06 – 4543191