Per chi soffre di claustrofobia, lavorare in ambienti angusti è un problema.
Sean Shanahan (1960) l'ha superato correndo tra le strette pareti del tunnel che collega la chiesa di San Fedele alla Cappella delle Ballerine, così chiamata perché fino agli anni '80, le ballerine del Teatro alla Scala, deponevano un fiore la sera del debutto, dove ha realizzato una serie di pannelli monocromi.
L'artista irlandese, che da anni vive in Brianza, si è diviso in due intervenendo sia nel luogo sacro che nella personale in corso nell'omonima Galleria.
Le identiche scelte cromatiche realizzate da Shanahan nella Cappella delle Ballerine, che rimandano ai colori di Maria: il rosa e l'azzurro, sono state riprese nella cripta a fianco della porta d'ingresso, in un piccolo spazio realizzato per contenere reliquari e calici antichi.
Inoltre l'artista, sempre nello stesso spazio, ha elaborato alcune opere in marmo nel fregio al di sopra dello zoccolo che divide la porta inferiore da quella superiore.
Terminata la visita nella chiesa di San Fedele, varchiamo la soglia della Galleria, per la personale "Seven last Words" a cura di Stefano Castelli e Andrea Dall'Asta S.J., titolo che fa liberamente riferimento alle ultime sette parole di Cristo sulla croce di Joseph Haydn.
In identico numero, Shanahan ha allestito una serie di monocromi posti perpendicolarmente alle pareti affinché tra opere e visitatore non vi sia un rapporto solo frontale, ma una percorrenza nello spazio compreso tra le tavole.
I toni lievi dei monocromi rivelano una spazialità dove il confine tra il finito e l'infinito trova diretto rimando con i colori compiuti nella chiesa.
Abbiamo incontrato Sean Shanahan in Galleria e la sua cordialità ci ha permesso di discutere su alcuni temi della sua arte.
Credo non accada tutti i giorni ad un artista di compiere interventi in una chiesa, come hai vissuto questa esperienza?
"E' stata un'esperienza spiritualmente profonda, è qualcosa che si avvicina all'immortalità, i miei lavori rimarranno per moltissimo tempo in quel luogo sacro".
Osservando le opere in gallerie sorge spontaneo domandarti quanto è importante per te la scelte delle dimensioni su cui sviluppi il tuo lavoro?
"Io sono pittore, quindi avendo tra le mani qualsiasi materiale qualsiasi formato so che dopo un certo tempo uscirà qualcosa. Di conseguenza le dimensioni del formato diventano importanti.
Le dimensioni delle opere in Galleria le definisco "formato uomo", le vedo come una persona in piedi e con questa mi confronto. Da qui si può capire quanto sia importante per me la scelta del formato".
"Io sono pittore, quindi avendo tra le mani qualsiasi materiale qualsiasi formato so che dopo un certo tempo uscirà qualcosa. Di conseguenza le dimensioni del formato diventano importanti.
Le dimensioni delle opere in Galleria le definisco "formato uomo", le vedo come una persona in piedi e con questa mi confronto. Da qui si può capire quanto sia importante per me la scelta del formato".
Come giustifichi la scelta di non collocare le tue opere a parete ma perpendicolarmente ad essa?
"In origine immagino i miei lavori sempre su parete bianca, ma ponendoli perpendicolarmente è strutturalmente e concettualmente un passo avanti, la prima percezione del visitatore deve essere quella di vedere un quadro a parete, poi avvicinandosi comprende il senso di percorrenza attorno all'opera. In realtà è come se facessi vedere il dietro del quadro"
"In origine immagino i miei lavori sempre su parete bianca, ma ponendoli perpendicolarmente è strutturalmente e concettualmente un passo avanti, la prima percezione del visitatore deve essere quella di vedere un quadro a parete, poi avvicinandosi comprende il senso di percorrenza attorno all'opera. In realtà è come se facessi vedere il dietro del quadro"
Ritieni che nei tuoi monocromi sia possibile percepire il confine tra finito e infinito?
"I miei quadri sono precisi e in un certo senso è impossibile non capire costa stia succedendo.
A questo punto penso che scorgere il finito e l'infinito, sia un problema tuo.
Per quel che mi riguarda ogni quadro mi spinge a crearne un altro quindi più che una infinità penso sia continuità".
"I miei quadri sono precisi e in un certo senso è impossibile non capire costa stia succedendo.
A questo punto penso che scorgere il finito e l'infinito, sia un problema tuo.
Per quel che mi riguarda ogni quadro mi spinge a crearne un altro quindi più che una infinità penso sia continuità".
I monocromi per loro natura tendono negare la funzione del gesto.
"Si può ridurre la maggior parte della pittura al gesto e definire il gesto con il limite della superficie sulla quale viene espresso.
Alla fine anche il gesto viene incorniciato. Per quel che mi riguarda, mentre compio il gesto sono spettatore io stesso del mio lavoro, quindi ci sono due anime del fare e serve conoscenza e coscienza, i miei gesti sono molto specifici, quello che appare è altrettanto importante di quello che non c'è, entrambe le condizioni sono scelte precise e ben definite".
"Si può ridurre la maggior parte della pittura al gesto e definire il gesto con il limite della superficie sulla quale viene espresso.
Alla fine anche il gesto viene incorniciato. Per quel che mi riguarda, mentre compio il gesto sono spettatore io stesso del mio lavoro, quindi ci sono due anime del fare e serve conoscenza e coscienza, i miei gesti sono molto specifici, quello che appare è altrettanto importante di quello che non c'è, entrambe le condizioni sono scelte precise e ben definite".
Sean Shanahan – "Seven last words"
Milano – Galleria San Fedele, via Hoepli 3a/b
Fino al 2 aprile
Orario: martedì-sabato 16-19
Milano – Galleria San Fedele, via Hoepli 3a/b
Fino al 2 aprile
Orario: martedì-sabato 16-19