Varese – Una sinestesia è una contaminazione sensoriale. Avviene quando un’immagine accende il ricordo di un profumo. O richiama un suono. Luca Gastaldo è affascinato dall’idea di poter risvegliare queste sensazioni con i suoi quadri, rendendo la sua arte – secondo le parole di Kandinskij –“uno spazio delle emozioni”.
Proseguendo quindi un percorso di ricerca che ha caratterizzato la pittura degli ultimi due secoli, negli spazi della galleria Punto sull’Arte Gastaldo ha realizzato un’installazione che è viva: due pareti sono invase dal sovrapporsi delle sfumature del blu intenso del cielo – realizzato a partire dal bitume, poi mescolato con l’olio e schiarito per sottrazione. A fare da cornice alla forza della Natura l’Uomo con il profilo della sua quotidianità: case, piccole luci.

Mi affascina l’idea di poter suscitare con un’immagine anche delle sensazioni diverse. – afferma Gastaldo – Davanti al quadro c’è della terra: non è decorativa, per me è un continuum, è strettamente legata all’immagine. Nel giro di qualche settimana crescerà dell’erba e questo legame sarà ancora più evidente.

 

Ho già realizzato accostamenti simili in passato: una volta del fieno collocato vicino all’opera aveva una funzione decorativa, in una collettiva di qualche anno fa allo spazio Oberdan di Milano avevo messo vicino al quadro un diffusore con l’aroma di erba tagliata. Oppure ho diviso una stanza grande in più stanzette con dei panni stesi”.

Luca Gastaldo dipinge il cielo, un cielo che assume un valore attraverso lo sguardo dell’uomo. “Ho provato a dipingere solo cielo, ma è come se mancasse una parte. Devo fare anche solo una linea sottile, senza nessun riferimento reale, una striscia che mi dia un legame con l’uomo. Lo rappresento poco nella sua fisicità, anche se spesso ci sono dei riferimenti alla vita. Chi guarda il quadro ne diventa parte – afferma l’artista – Non ho bisogno di rappresentare l’Uomo, c’è”.

Il percorso di Luca Gastaldo nasce dall’amore per il disegno, per la pittura. Ha frequentato un Liceo Artistico sperimentale a Milano, dove ha appreso le competenze tecniche che l’hanno guidato negli anni successivi. La scelta professionale si è sviluppata poco a poco. “Ero interessato anche a Lettere e a Fisioterapia, – racconta – ma il mio professore di Disegno dal vero mi ha convinto a intraprendere il percorso artistico e iniziare l’Accademia. Negli anni di studio ho anche avuto l’appoggio della mia famiglia, mio papà aveva una ditta di impianti elettrici e mi ha dato uno spazio molto grande in cui ho potuto passar tanto tempo a dipingere. Nel 2005 è mancato mio padre e ho dovuto prendere una decisione”.

Ho scelto di dipingere e ho contattato una serie di gallerie in Lombardia per vedere se il mio lavoro potesse avere un riscontro anche di tipo economico. Nello stesso periodo ho fatto il mio primo paesaggio, che è stato esposto alla Galleria Ghiggini a Varese, dove ho poi vinto anche un importante riconoscimento”.

Gastaldo ama Friedrich, Van Gogh,  Hopper, Turner, alcune cose di De Chirico, Shiele per il segno. Ama la Musica, la Letteratura e il Cinema.
Nelle sue opere, nei suoi cieli, c’è tutto questo.

I quadri prendono vita ascoltando dei suoni, ricordando delle immagini o delle parole. “L’istinto, l’ispirazione, mi portano a dipingere con colori intensi. Cieli di tempesta, ventosi. Quando dipingo più lentamente, in modo più riflessivo, il quadro è più luminoso. La luce è un aspetto fondamentale, dà un senso al tutto, anche all’oscurità. – sottolinea – Luce e ombra si danno valore a vicenda. A volte faccio dei quadri molto chiari, nel corso degli anni ho capito che le tele che risultano più luminose sono quelle che faccio più lentamente. Quando faccio un quadro mio, in modo istintivo e con urgenza, i colori sono più decisi”.

Come nasce un quadro? “In genere inizio dalla parte inferiore, che studio nei particolari disegnando gli alberi o la casa, mentre la parte superiore, il cielo, la faccio più istintivamente. Quanto alla tecnica, ho fatto tutto il mio primo paesaggio con il bitume, che era molto scuro e che poi sono andato a sottrarre. Ho continuato a usarlo e permane in tutti i toni bruni che poi si uniscono con il blu diventando tonalità ambrate, di rame ossidato. Utilizzo poi il catrame, che a tratti tolgo con il diluente: è un continuo mettere e togliere il colore.
Si formano così vari strati che creano delle tinte annacquate. Un po’ come fosse acquarello”.

A volte l’immagine viene realizzata in due, tre parti. “Lo faccio da sempre, mi piace l’idea di trittici come quelli delle pale d’altare. Da sempre uno dei miei artisti preferiti è Friederich e uno dei miei quadri preferiti è un suo trittico. Nei miei lavori c’è proprio un richiamo alle pale d’altare, anche se le emozioni che cerco di esprimere sono più spirituali che religiose”.

E, ancora, i titoli, che “Per me sono la cosa più lunga. Ci metto di più a pensare al titolo che a fare l’opera. Una volta finito il quadro lo guardo, magari ascoltando la musica, e cerco di trovare quell’idea iniziale in due o tre parole che lo rappresenti. A volte sento che sono azzeccati al 100%, come il mio primo paesaggio: l’ho chiamato ‘Notte guerriera’ e raffigurava un bambino che, di notte, si tuffa da un pontile in un laghetto. “Lieto malessere prima di un temporale” mostrava dei panni che sventolano mentre arrivano dei nuvoloni. Ho sempre bisogno di un pò di tempo per trovare il titolo ‘perfetto’”.

“Mentre dipingo e anche mentre aspetto che le mani di colore asciughino leggo, ascolto audiolibri e musica. A volte sono così concentrato nel mio lavoro che mi sfuggono delle frasi. Allora vado a riascoltarle e può capitare che mi colpiscano delle parole, che io separo dal libro, decontestualizzo, attibuendogli un nuovo significato. Mi piace ascoltare e leggere autori italiani come Verga e Pavese, leggo anche le poesie di Pascoli”.

Tutti i quadri esposti a Punto sull’Arte sono stati realizzati per la mostra e rispecchiano il sentire dell’artista. Se l’ampiezza degli spazi gli ha consentito di realizzare opere molto grandi, le pareti bianche hanno risvegliato il desiderio di dipingere opere molto piccole.
“Ho scelto di lavorare in modi diversi: realizzare un’opera di grandi dimensioni è molto gestuale, richiede grande libertà di movimento, mentre i quadri  piccoli sono di precisione. Ho voluto farne uno molto piccolo di prova. Temevo che le dimensioni riducessero la forza di quello che voglio dire, invece ho capito che sono ugualmente intensi.

Mi piace il risultato e penso sia un modo per avvicinarsi a chi guarda i miei lavori: li ho chiamati Serie Polaroid. La mia idea iniziale era quella di metterli in una scatola dove si potessero spostare e toccare o anche fare delle piccole composizioni.
E’ molto diverso dai quadri di grandi dimensioni, che possono essere ‘vissuti’ sedendosi su una panca.

SINESTESIE, Luca Gastaldo
fino al 7 aprile
Punto sull’Arte, v.le Sant’Antonio 59/61
mar-sab 10/13, 15/19

Chiara Ambrosioni