fotografica
"Le stanze dell'anima. La Sacra di San Michele tra visioni e realtà" è il titolo della mostra di fotografie di Franco Borrelli, curata da Paco Simone e allestita fino al 3 giugno alla foresteria grande della Sacra di San Michele, in Valle di Susa.
Partendo dalla segnalazione della mostra, che prende le mosse dai tre nuclei tematici fondamentali: coscienza del mondo, desiderio estatico e senso dell'eterno, iniziamo anche noi un breve viaggio alla scoperta dell'affascinante sito della Sacra piemontese.
L'elemento inconfondibile e più caratteristico della Sacra di San Michele è la sua posizione in Valle di Susa, alla sommità del monte Pirchiriano, uno sperone roccioso alpino.
Costretta ad una planimetria ridotta, dovendo fondarsi su una svettante altura, la costruzione guadagna spazialità in altezza, distaccandosi dalle consuete proporzioni romaniche, valorizzando invece quell'altrettanto caratteristico rapporto con il territorio.
Già in epoca antica, il luogo, data la sua posizione strategica, viene sfruttato dai Romani come castrum e presidio di interesse militare.
Al VI secolo d.C., invece, tempo delle invasioni barbare e dei Longobardi, vengono erette le famose "Chiuse dei Longobardi". Questi innalzarono muraglie e torri attraverso la valle quando, sotto la guida del loro re Desiderio e del figlio Adelchi, si ammassarono per resistere all'entrata in Italia di Carlo Magno.
Data invece al X secolo la prima presenza dell'ordine dei Benedettini in queste terre.
La scelta del luogo è certamente condizionata dall'imponenza, dalla predisposizione al sacro dello sperone roccioso.
E intorno al 983-987 inizia l'edificazione del monastero, affidato poi a cinque monaci Benedettini.
Poco alla volta si sviluppa su questa cima un punto di
sosta per pellegrini di alto livello sociale, quasi un centro culturale internazionale.
Ottenuta presto l'autonomia e l'indipendenza dall'autorità temporale e da quella del vescovo, l'abbazia, grazie ad un'ampia e intensa ospitalità, può favorire gli scambi non solo di ordine pratico ma di profondo significato spirituale.
E fin verso la prima metà del 1300 il monastero vive la sua stagione più favorevole sotto la guida degli abati benedettini, estendendo i propri possedimenti in Italia e in Europa.
All'interno si squaderna una spettacolare scansione di elementi strutturali e lo slancio verticale è temperato da moduli proporzionali classici e risalenti al romanico, a testimonianza della consapovele radice classica di questa architettura.
Volte, pilastri e assetto decorativo di capitelli e lunette rispondono alla necessità di manifestare la logica costruttiva e simbolica della struttura muraria. Come avviene, ad esempio, in San Michele a Pavia, i capitelli dei pilastri inseriscono l'elemento narrativo e simbolico entro i nodi strutturali in cui confluiscono i principali elementi dell'intelaiatura architettonica.
Proprio l'edificio pavese tende ad uno significativo slancio verticale e sviluppa il transetto, offrendo all'intricato tessuto urbano più di un prospetto, in una soluzione altamente scenografica.