Dopo la caduta dell'impero greco – Nel 146 a.C. le città di Corinto e Cartagine cadono finalmente sotto il giogo nemico: Roma ha ultimato la conquista del mondo antico; si trova a dirigere un territorio esteso dalla Spagna all'Asia orientale. E' allora che la magnificenza dell'impero greco assurge a modello dei nuovi dominatori: le architetture romane vengono trasformate seguendo in parte i canoni costruttivi greci, di forte impatto scenico -vedasi Pergamo-, in parte adottando novità costruttive proprie del mondo italico. Una felice fusione si riscontra soprattutto nei santuari "a terrazze", eretti in età tardo repubblicana intorno a Roma tra laghi, mare e boschi.
Una fusione di forma greca e riti latini – Uno dei primi
esempi è il santuario di Giunone costruito a Gabi in una zona boschiva, lungo le rive di un antico lago vulcanico. I portici, la cavea teatrale e il bosco inserito nella struttura architettonica esprimono l'incontro di natura e architettura da una parte, del mondo greco e latino dall'altra. E', però, la tecnica di costruzione, l'opus caementicium, di cui si ha testimonianza di un suo primo uso già alla fine del III secolo a.C. nella zona campano-laziale, a caratterizzare le sostruzioni di questo santuario e del tempio in esso conservato.
Gli stessi caratteri si incontrano nei templi di Diana Anemi presso le rive di un altro lago e nel santuario di Ercole Vincitore a Tivoli. La soluzione di quest'ultimo fu tanto ardita e ingegnosa da essere sfruttata tra Otto e Novecento, purtroppo per l'antica struttura, in una centrale idro-elettrica: innalzato su possenti sostruzioni vicino al fiume Aniene, il santuario ne sfruttava, attraverso un sofisticato sistema di incanalature, l'acqua necessaria a irrorare le fontane, presenti anche nelle terrazze più alte dell'area sacra. Per non parlare della galleria che correva sotto parte della struttura, che permetteva il passaggio della Via Tiburtina. I declivi naturali, gli scenari aperti sul mare, sulle pianure, o sui laghi, i boschi inglobati nelle architetture: la natura in età tardo repubblicana cede al sacro, propriamente lascia cioè il posto all'architettura, quella romana che distinguerà anche da questo punto di vista il carattere dei nuovi dominatori rispetto ai vinti.
Il caso di Palestrina – Tra i diversi santuari passati in rassegna dall'archeologa Anna Maria Fedeli, quello di
Palestrina indubbiamente rappresenta l'esempio più magniloquente. Il santuario, che connota fortemente ancora oggi il tessuto urbano della città, fu in età repubblicana e soprattutto al tempo della conquista d'Oriente da parte dei Romani, un'area sacra di grande richiamo. Vi si amministrava il culto della Fortuna Primigenia: Cicerone, nel suo "De divinatione", ce ne parla come di un luogo molto frequentato, specialmente dal popolo, in cui si interrogava la Dea Fortuna sul proprio futuro. Il responso era affidato a scritte incise su tavolette, le "sortes", che si estraevano casualmente da contenitori. "L'intero complesso era pensato come una sorta di nostro sacro monte" -ha sottolineato la Fedeli -"dove ad ogni stadio si incontrava qualcosa di spettacolare sia sotto il profilo architettonico che spirituale". In questa costruzione monumentale si assiste ad un vero e proprio trionfo dell'utilizzo dell'opera cementizia: rampe, colonnati, terrazze con fornici e colonne, portici, templi eretti su alti basamenti, canali per l'acqua, piscine, ordini architettonici che vanno dal dorico al corinzio, il tutto decorati da splendidi mosaici, celebre quello con la scena Nilotica, presentano al mondo di allora e di oggi in cosa si stesse trasformando la potenza romana. La stessa natura si piegava al volere e all'espressione dei riti latini.