Gabriele Jardini è l’artista della natura. La ama a tal punto che la ricrea in forme altamente liriche nella natura stessa. Le foglie, i rami, i fiori raccolti li dispone secondo un nuovo fantastico ordine sulle piante, sui tappeti verdi; nella sabbia lascia tracce inconsuete, come i percorsi delle pigne che sopra vi rotolano; nella pareti di neve fa buchi alla Fontana (e pare poco citare l’arte nella natura?).
La sua è pittura precisa e scultura fragile allo stesso tempo. Ma non solo. Il suo effimero costruire ha un prolungamento vitale nell’immagine fotografica che accompagna ogni lavoro. “Se non avessi avuto il mezzo fotografico – afferma – non avrei iniziato a fare queste opere oltre vent’anni fa. Erano i tempi della Land Art ”.
24 suoi lavori sono stati appena presentati nella mostra “Relazioni” al Museo Kem Damy di fotografia contemporanea a Brescia. C’è anche il muro di neve bucato tra due betulle. A chi osserva che quell’opera potrebbe essere anche un ottimo bronzo risponde: “sarebbe assurdo, la scultura perderebbe tutta la sua fragilità”. Lavori tridimensionali di esistenza breve, spesso minimali, e perché no, a volte venati d’ironia.
La natura è anche il tema dei suoi giganteschi lavori realizzati con una manualità esasperata utilizzando matite colorate. Di pura fantasia o di marca iperrealista, germinano da una trama fittissima di segni che sembrano riecheggiare lo stesso chiarore delle apparizioni avute negli stadi iniziali dello sviluppo in camera oscura dei ritratti fotografici sperimentati da Jardini negli anni 70.
L’armonia regna sovrana nelle sue creazioni. Il sospetto è che Jardini ami anche la musica. Un sospetto che trova conferma: i suoi studi sono musicali: direzione di coro, canto corale e composizione. Continua a comporre, ma questi fogli li tiene nel cassetto.
Profondamente votato alla natura, Jardini si sente in sintonia con i paesaggisti dell’800, come Monet, “soltanto che loro utilizzavano la tela io la fotografia”. E’ un modo nuovo di guardare e vivere la natura, ancora più diretto di quello dei pittori impressionisti: “la tocco con le mani, vi entro; per questo mi sento vicino a Richard Long, a Penone, a Timo Valjakka”.
Dal ‘94 partecipa ad alcune edizione di Arte Stella, nel Trentino, la prestigiosa Biennale internazionale di arte nella natura curata da Vittorio Fagone: “il bosco si trasforma in una sorta di museo a cielo aperto dove si vedono le opere fatte interagendo con l’ambiente e i suoi materiali”.
Jardini reagisce così alla troppa tecnologia dei nostri giorni, all’antropizzazione selvaggia del territorio. “Difendo la natura andando oltre il piantare alberi di Beuys, cosa che avevo fatto prima con i miei compagni alle elementari”.
Nella sua villetta di Gerenzano ha realizzato una sorta di piccolo giardino-scultura, e a fianco ha aperto la minuscola PetiteKunsthalle, dove due o tre amici hanno esposto i loro pensieri piuttosto che le opere. Vorrebbe fare di più. Ma gli impegni quotidiani, che toccano anche la sfera degli affetti più cari, forse gli impediscono di essere fino in fondo un donchisciotte.